di Luca Chierici
Oggigiorno l’esecuzione di grandi pagine musicali da parte di orchestre prestigiose e di direttori illuminati dà raramente luogo a eventi che non meritino il massimo degli elogi. Ci può essere minore o maggiore commozione da parte del pubblico, si possono notare dettagli più o meno specifici che ci fanno gridare al miracolo, ma è anche del tutto inutile stilare graduatorie che non hanno alcun senso (come non ha alcun senso, sia ben chiaro, porre tutto e tutti sullo stesso piano come purtroppo è diventato cattivo costume fare o, peggio ancora, indicare come “definitiva” l’ultima cosa buona ascoltata in teatro, parafrasando in positivo la famosa boutade toscaniniana sulla cosiddetta “tradizione”.
Non dirò dunque che l’esecuzione da parte della Filarmonica della Scala e di Riccardo Chailly della Terza sinfonia di Mahler ospitata ieri dal teatro abbia rappresentato quanto di più bello sia possibile oggi ascoltare in tutti i sensi, anche se siamo stati vicini a un livello straordinario di perfezione. Mi limiterò a osservare come particolarmente significativo sia stato l’inquadramento formale e poetico del primo, colossale movimento da parte di Chailly, come si sia percepita in maniera straordinariamente chiara la struttura dilatatissima della forma-sonata sottintesa da un discorso che in questa sinfonia raggiunge livelli di intensità mai intesi prima. E ancora come sia stato evidente, da parte del direttore, l’omaggio a Claudio Abbado. Non quello rifinito ai massimi livelli dei concerti di Lucerna, bensì quello precedente, degli anni scaligeri, del ciclo Mahler che lo stesso Chailly aveva vissuto in prima persona come assistente di Abbado in teatro. Esecuzioni che magari mostravano qualche imperfezione, con un’orchestra tecnicamente non abituata agli standard attuali, ma piene di entusiasmo, che ti facevano leggere le difficili partiture di Mahler o di Bruckner con l’occhio del neofita, che scopre prima gli aspetti emozionali di una musica, e solo in seguito ne analizza la complessità tecnica, i segreti nascosti, i collegamenti con altri lavori dello stesso compositore, i richiami a motivi esterni.
Molta commozione in teatro, quindi, anche da parte dell’orchestra stessa (straordinario Manara con i suoi “soli”), del contralto Gerhild Romberger, e dello stesso direttore che ha impiegato un po’ di tempo, al termine del suo impegno, per ridiscendere sulla terra dopo che si era immerso in un viaggio che pochi capiscono come possa rappresentare uno sforzo psico-fisico immane per un individuo: mantenere il controllo assoluto su un insieme orchestrale così ampio e allo stesso tempo essere come sopraffatti dall’emozione! Grandissimo successo.