di Luca Chierici
Sala malauguratamente poco affollata, martedì sera, alla Società del Quartetto di Milano, ma applausi di intensità inversamente proporzionale al numero di persone presenti al bellissimo recital che aveva come protagonisti il giovane violinista Daniel Lozakovic e il già ammirato pianista Alexander Romanovsky, da noi più volte recensito in occasione dei suoi concerti milanesi. Romanovsky aveva vinto il Concorso Busoni nel 2001, quando aveva diciassette anni, la stessa età attuale del suo partner al violino che veniva presentato come una sorta di enfant prodige. In realtà Lozakovic non appartiene oggi a quella categoria, perché è nato nel 2001 e ha debuttato a soli otto anni nel 2009, ma non si può certo dire che siano numerosi gli artisti che alla sua attuale età mostrino una maturità musicale di questo tipo, oltre che una ammirevole padronanza dello strumento.
Lozakovich sembra possedere solo in parte le strabilianti doti della scuola violinistica russa e a volte il suo modo di suonare e il suo suono fanno pensare a qualcosa di francese, suggerendo i nomi di grandi artisti del passato come Francescatti. L’intensità di suono è modulare, nel senso che nella prima parte della serata il violinista si e fatto un poco sopraffare dal tocco bellissimo ma molto presente di Romanovsky, che forse per motivi di registrazione del concerto da parte della Rai aveva lasciato aperto il pianoforte. Con la seconda parte del recital, nella sonata a Kreutzer di Beethoven, l’ intensità di suono del violinista era maggiore e maggiore anche l’equilibrio tra i due artisti in una pagina del repertorio di difficilissima realizzazione, si intende a questi livelli.
Da un certo punto di vista in questo tipo di recital la presenza di un pianista di grande fama può rivelarsi un handicap invece che un fattore positivo per un giovane che è ancora in fase di maturazione, e forse avremmo preferito ascoltare Lozakovic accanto a un coetaneo. Ma il risultato della serata è stato comunque di livello altissimo e possiamo senz’ombra di dubbio affermare che il giovane Daniel, nato a Stoccolma, è destinato a una carriera di primissimo piano. Più che nella Sonata di Mozart che ha aperto il programma, quella in si bemolle maggiore K 378, il duo ha sfoderato tutte le proprie armi nella difficile Fantasia in do maggiore di Schubert per concludere poi l’itinerario, assai impegnativo, appunto con la Kreutzer. E in tutti i casi si è ascoltato un ragazzo che è già in possesso di tutte le doti per affrontare il repertorio classico e romantico, ivi compresa la cantabilità un poco facilona e tardiva sfoderata nei bis di Edward Elgar.