di Luca Chierici foto © Brescia&Amisano
Tenore? Baritono? Che importa, se alla base si è di fronte a un musicista a tutto tondo che è ancora in grado di mostrare come si entra in scena (anche se scene non ce n’erano, neanche dipinte), come ci si muove sul palcoscenico (anche senza costumi) e soprattutto come si fraseggia. La voce di Plácido Domingo è spesso il lontano ricordo di quella di un tempo, d’accordo, o sembra quella di una volta ma sottoposta a pesanti trasformazioni e filtri come solamente un software complesso è in grado di applicare a una registrazione originale (e in questo caso l’operazione funzionava in senso inverso rispetto a quella che solitamente si compie per abbellire il timbro, i colori, o per togliere eventuali difetti). Ma finché la presenza del cantante è in grado di stare alla pari con quella di almeno due tra i protagonisti di una serata di gala, stiamo pur sicuri che il successo di pubblico ci sarà ancora, così come è stato, anche al di là delle previsioni.
Eccellente era il contributo del soprano Saioa Hernandez, la sola che con Ferruccio Furlanetto (non ce lo aspettavamo così in forma) è stata in grado di poter competere alla pari con Domingo, condividendo un approccio stilistico consolidato dal tempo. Un poco pretenziosa la scelta del programma, che insisteva su luoghi verdiani temibili per tutti (dal Macbeth, al Don Carlo e al Trovatore). Anche per il direttore Evelino Pidò che non si è certo segnalato per raffinatezza di concertazione, iniziando la serata con una Sinfonia del Nabucco che riteneva del famoso, barricadiero approccio mutiano solamente l’aspetto più esteriore. Né di particolare pregio erano gli interventi del tenore Jorge De León e dei pur bravi allievi della Scuola di perfezionamento della Scala. Ma alla fine è stata una grande festa per tutti, che ha registrato un consenso da record per la durata e l’intensità degli applausi, con due fuori programma (il più impegnativo era il finale di Macbeth) e l’entusiasmo che non accennava a smorzarsi.
Domingo non è certo il protagonista che si presenta attraverso una serata liederistica, e già si prepara per i Vespri siciliani della prossima estate a Salisburgo oltre che per un ulteriore ritorno sul palcoscenico milanese. Un artista di questo calibro, probabilmente, non lo si troverà mai più negli annali della Scala, né in quelli di altri prestigiosi teatri nel mondo. E con Domingo si è anche in fondo colta l’occasione per tributare un nuovo omaggio ad Alexander Pereira, che giustamente coglie gli ultimi frutti di un lavoro appassionato prima di lasciare Milano e il palcoscenico dove si è visto abbracciare affettuosamente il grande Plácido.