di Luca Chierici foto © G. Gori
Greco era il direttore, Constantinos Carydis, quarantacinque anni, vincitore nel 2011 di un prestigioso Premio Carlos Kleiber. E di un famosissimo direttore e compositore greco, Dimitri Mitropoulos, era la pagina d’ingresso di un programma interessante e piuttosto insolito che ha inaugurato il rientro della Filarmonica della Scala dopo la pausa natalizia, con un pubblico tossicoloso, non molto attento, e desideroso di guadagnare l’uscita al termine della serata.
Certo l’impaginato non era tra i più attraenti, ma molto interessante era appunto l’incipit, un breve pezzo orchestrale dal nome che mette qualche brivido (Tafì, ossia “Sepoltura”), scritto da un Mitropoulos ancora studente nel 1915 e ispirato alla descrizione della sepoltura di Gesù da parte di Giuseppe d’Arimatea . Interessante perché ci mostra un giovane compositore non tanto imbevuto di umori tardoromantici quanto precursore di uno stile che troverà in Arvo Pärt uno dei suoi campioni. Ma il Cantus in memoriam Benjamin Britten, del quale questo Tafì sembra essere un precursore, è stato scritto da Pärt nel 1976 e quindi molto notevole è la precocità da parte di Mitropoulos nell’anticipare un genere che avrà molto successo così tanti anni più avanti. A ben vedere il meccanismo impiegato qui (una melopea che parte e finisce in “pianissimo” e raggiuge una intensità sonora nella parte centrale) non era nuovo nemmeno nel 1915: si pensi al descrittivismo di una pagina come la Marcia funebre della seconda sonata di Chopin, che sembra appunto commentare lo svolgersi di un rito funebre con il corteo che si avvicina silenziosamente al luogo di sepoltura e da quello poi se ne allontana con un affievolirsi delle sonorità. Si trattava di un topos romantico che evidentemente impressionava molto il pubblico del tempo e che oggi ritiene solamente un motivo di curiosità. Le suggestioni che la pagina di Mitropoulos riusciva ad emanare erano comunque molto intense, se pensiamo al fatto che il direttore perse la vita il 2 novembre (!) del 1960 in seguito ad un attacco cardiaco proprio nella stessa buca orchestrale della Scala, dove si trovava per concertare la terza sinfonia di Mahler.
L’orchestra ha seguito molto bene le direttive di Carydis, che è ovviamente molto legato alla figura del grande conterraneo, e che ha “sentito” in maniera particolarmente intensa questo saggio giovanile. C’era però la tendenza, che si è palesata più chiaramente in seguito nella parte mahleriana del programma, a non richiedere agli archi un suono più intenso: anche nei luoghi dove la partitura richiede una espressività molto contenuta il suono deve essere sempre e comunque percepibile in una grande sala, cosa che non sempre avveniva anche per sostenere le sfumate dinamiche dei Rückert Lieder e del movimento (“Blumine” ) estrapolato dalla prima sinfonia di Mahler. Magdalena Kožená ha solamente oramai le intenzioni di una intensità di canto adatta a queste pagine, e ci si ricorda di lei in occasioni passate molto più interessanti. La serata si è conclusa con una esecuzione assai brillante della nona sinfonia di Šostakovič, nella quale direttore e orchestra hanno dato prova del brillante virtuosismo richiesto da una partitura graffiante e imbevuta, ancora una volta controcorrente, di umori haydniani quando l’establishment musicale e politico si attendeva dal compositore un inno alla figura di Stalin come salvatore della patria dopo una guerra disastrosa.