di Luca Chierici foto © Brescia&Amisano
Con due concerti che si sono tenuti a ventiquattr’ore di distanza con la stessa orchestra e lo stesso direttore, Milano e la Scala hanno reso nuovamente omaggio alle vittime della recente pandemia, quasi un proseguimento dell’evento del Requiem in Duomo di qualche giorno fa, e allo stesso tempo hanno cercato di infondere speranza e coraggio alla città in vista di un recupero della programmazione ufficiale che si era interrotta alla fine di febbraio. Sabato 12 settembre è stata la volta della Nona sinfonia di Beethoven nel Teatro, e la sera successiva di un concerto in una Piazza Duomo “allargata” dove pur con le restrizioni imposte dai criteri di non assembramento hanno trovato posto diverse centinaia di persone.
Riccardo Chailly (“Ben ritrovati” è stato il suo saluto rivolto al pubblico in entrambe le occasioni) e la Filarmonica si sono prodigati al massimo nonostante le difficoltà oggettive e la ruggine di qualche comparto strumentale, cosa del resto usuale ad ogni di ripresa di stagione e ancor di più in questo caso. L’importante è che Chailly, con questa Nona abbia virtualmente proseguito il ciclo beethoveniano parzialmente interrotto quest’anno, e si sia confermato direttore attento alla tradizione ma anche alle ultime ricerche che si sono sviluppate sui testi e sulla prassi esecutiva, sfruttando al meglio anche la nuova disposizione dell’orchestra e del coro e il conseguente accomodamento della struttura del palcoscenico e della camera acustica. Chailly ha offerto una lettura tesa e rispettosa soprattutto dell’architettura generale della sinfonia, con il giusto risalto dei punti tradizionali di accumulazione delle tensioni e un’ottima governance della parte corale e vocale. La preoccupazione relativa al nuovo assetto delle masse in gioco ci ha forse privato di qualche intervento più personale nel fraseggio e nella resa più intima di certe sezioni in cui il discorso beethoveniano raggiunge vertici di intensità assoluta, ma in questo periodo ogni esecuzione fa storia a sé ed è ancora troppo soggetta al complesso delle disposizioni che condizionano qualsiasi attività di spettacolo. Magnifica la risposta del Coro al solito preparato da Bruno Casoni e questa volta disposto ai lati del palcoscenico e orientato in maniera singolare verso il Direttore. Solisti di canto preziosi erano Krassimira Stoyanova, Ekaterina Gubanova, Michael Konig e Tomas Konieczny, affiatati e partecipi.
L’appellativo un poco altisonante di “Concerto per l’Italia” ha invece caratterizzato la performance della sera successiva in Piazza Duomo, sorta anche di ricompensa al tradizionale concerto di fine stagione che quest’anno non si era evidentemente potuto tenere. Fedele al carattere nazional-popolare che oggi sembra imprimere una direttiva alla nuova programmazione scaligera, si è scelto di eseguire una serie di ben note sinfonie da opere (Don Pasquale, Norma, La forza del destino e Guglielmo Tell come bis) e l’Intermezzo dalla Manon Lescaut di Puccini. Si tratta di pagine notissime ma che sarebbe ingiusto liquidare come frutto di una scelta fatta per ingraziarsi un pubblico esteso: musica di altissimo livello, eseguita nel migliore dei modi. Senza nulla togliere a tutto ciò, l’attenzione del pubblico è stata conquistata attraverso una mirabile esecuzione del Concerto in mi minore di Mendelssohn, solista il sempre fantastico Maxim Vengerov. Di quest’ultimo si è sempre detto tutto il bene possibile e l’altra sera siamo stati ancora una volta conquistati dal suono pieno, dal vibrato, dal “grande stile” di un solista che oggi non ha eguali e che si pone ben al di sopra di colleghi anche famosi per i quali queste caratteristiche di suono e di cavata sembrano essere considerate vestigia di un passato malamente inteso come tradizione nel senso peggiorativo del termine. In realtà non vi è oggi violinista in circolazione che possieda al pari di Vengerov queste doti che, al contrario, testimoniano la gloria di molte scuole violinistiche di un tempo. Un bis (la Méditation dalla Thais di Massenet) ha suggellato il felice incontro di Vengerov, Chailly e la Filarmonica, sostenuto da un uragano di applausi.