di Luca Chierici foto © Brescia e Amisano
La scelta di una serie di recite di Traviata senza la tradizionale componente scenico-registica era l’unica possibile per permettere alla Scala una ripresa settembrina senza problemi. Una ripresa cauta, soprattutto per la scelta di un titolo di richiamo come quello verdiano è del tutto comprensibile. Meno comprensibile è stata l’opzione riguardante la neanche tanto sottile differenza tra esecuzione in forma di concerto ed esecuzione semiscenica. È vero che gli attrezzi utilizzati si riducevano a un paio di poltroncine e un sofà, solo in parte sufficienti a commentare lo sviluppo del soggetto, ma la scelta era aggravata dal fatto che i personaggi non comparivano in abiti borghesi bensì indossando vesti in alcuni casi firmati dalla premiata ditta Dolce & Gabbana e in un altro caso, quello di Annina, scelti con un occhio a un lusso che contrastava alquanto con le caratteristiche del personaggio. Insomma, se di esecuzione in forma di concerto si deve parlare, che si rispetti allora l’impostazione classica, che alla Scala era stata ad esempio seguita nel caso di un memorabile Simon Boccanegra con Solti nel 1988 (c’era già Nucci tra i protagonisti!). Cantanti disposti davanti all’orchestra, in quel caso, perfettamente posti sotto lo sguardo del direttore, quasi strumenti che partecipano a una esecuzione organica della quale si colgono tutti i dettagli.
La presenza di Mehta aveva in taluni fatto temere un certo peso greve e il protrarsi della serata oltre i termini sanciti dallo standard, ammesso che ne esista uno. A parte qualche esitazione iniziale, il direttore ha invece portato a termine il proprio compito in maniera encomiabile con un crescendo di emozioni continuo e con una scelta di attenzione verso particolari che si ascoltano raramente. Il cast vocale puntava soprattutto sul nome di Marina Rebeka, il soprano lettone che ha oramai alle spalle un bel decennio di successi, compresa una sua Violetta alla Scala nel 2019. Lei è stata senza dubbio la protagonista di una serata insolita ma che ci ha riportato magicamente in un contesto di normalità, come se mascherine e distanziamenti fossero un ricordo del passato. Dotata di una voce di qualità e pienezza straordinarie in tutti i registri, la Rebeka ha affrontato con successo, almeno dal punto di vista tecnico, le diverse “fasi” di Traviata, riscuotendo sempre applausi convinti dai circa settecento spettatori che popolavano la sala. Parlare di rispondenza totale nei confronti del personaggio è forse azzardato, ma non dimentichiamo che la quasi totale assenza della componente scenica non permetteva ai cantanti di dimostrare con altri mezzi la loro possibile aderenza teatrale nei confronti dei propri ruoli. E se il «Dite alla giovine» non era esattamente commovente, qualche apprezzabile coinvolgimento si è ben percepito nel finale, anche se la prestanza fisica del soprano a tutto faceva pensare tranne che a una esile figura di moribonda. Il partner di Violetta era il tenore brasiliano Atalla Ayan che non è parso particolarmente affascinante dal punto di vista timbrico, non riesce a proiettare idealmente il suono e si è rivelato un poco grezzo nel fraseggio e nella aderenza al ruolo. Un «De’miei bollenti spiriti» senza applauso alcuno sottolineava fin dall’inizio questo tipo di percezione anche da parte del pubblico e nonostante il proseguimento della serata non abbia registrato problemi particolari, Ayan non ha assolutamente convinto neanche negli ultimi istanti, quando ha assistito impotente (neanche impietrito) all’accasciamento mortale della amata. Resta da dire di Leo Nucci, interprete che ancora oggi dà lezioni di stile e di teatro ai più giovani partecipanti, ma che ha meritato l’applauso affettuoso del pubblico più per motivi di stima che di reale sostegno di mezzi vocali in linea con il ricordo di un passato di successo, anche se il «Di Provenza» era tutt’altro che disprezzabile, e in linea con le aspettative. Buoni i comprimari, a partire dal Gastone di Carlo Bosi e dalla Flora di Chiara Isotton e sempre straordinariamente presente il Coro diretto da Casoni. Un intervallo con – udite, udite – persino la possibilità di accedere al bar per un breve rinfresco.