di Attilio Piovano
Una prima assoluta, al Teatro Regio di Torino, per la stagione di opera e balletto, la sera di venerdì 27 maggio 2022, quella del ‘racconto in musica’ dal titolo Falcone e Borsellino. L’eredità dei giusti, screziata partitura di Marco Tutino, per la drammaturgìa di Emanuela Giordano, nel trentennale dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, succedutesi a poche settimane l’una dall’altra.
‘Per non dimenticare’ la grandezza di due magistrati quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che con la vita hanno pagato la loro strenua lotta alla mafia, anzi alle mafie. Alla replica torinese la sera di sabato 28 maggio (con diretta su Rai Radio 3 alle ore 19) faranno seguito quelle di Milano (Teatro Strehler 28 giugno) e Palermo (Teatro Massimo 19 luglio).
«L’eredità dei giusti è una eredità ingombrante – afferma Tutino stesso – perché ci costringe a sapere che contro l’ingiustizia, la violenza, il sopruso e l’arroganza della criminalità e della mentalità mafiosa si può lottare, si può dire no. Falcone e Borsellino ce lo chiedevano allora, e continuano a chiedercelo ogni volta che li ricordiamo, in pubblico e in privato: non giratevi da un’altra parte, non abbassate lo sguardo. È un invito al quale non ci si può sottrarre soprattutto oggi, quando tutto ci sembra troppo forte, invincibile e inaffrontabile solo con la nostra fragile e indifesa volontà individuale. Questo racconto per musica, canto e parole recitate è il nostro modo di ribadire la possibilità di ribellarsi, e di non dimenticare chi lo ha fatto per tutti noi. In una terra complicata e bellissima, che ha visto nascere accanto al male una grande Poesia e la profondità di un pensiero prezioso. Un racconto di testimonianze e di speranza, amplificate dalla musica non di scena, bensì protagonista anch’essa».
Un Teatro Regio gremito all’inverosimile (come da tempo obiettivamente non accadeva di vedere) in stragrande maggioranza da parte di studentesse e studenti delle scuole non solamente del capoluogo. Indubbiamente un bel segnale – nella certezza che gli insegnanti abbiano fatto preventivamente nelle classi un capillare lavoro di informazione e divulgazione storica dei tragici eventi oggetto della serata – e pazienza per un clima ’festoso’, più da scampagnata e da spensierata gita scolastica che non di commemorazione con il mezzo potentissimo della musica, della parola e delle immagini. L’esuberanza un po’ caotica e disordinata e financo scanzonata del parterre della ‘giovanissima’ sala ha finito pur tuttavia per riveberarsi positivamente sull’intera platea, compresi critici, addetti ai lavori e ‘normale’ pubblico.
All’innegabile successo di questa co-produzione la cui genesi, avverte il teatro, si deve a Rosanna Purchia oggi Assessore alla cultura della Città di Torino ed ex Commissario del Teatro Regio – frutto dello sforzo congiunto del Regio, del Piccolo di Milano, del Massimo di Palermo e della Fondazione per la Cultura di Torino MiTo Settembre Musica – hanno senza dubbio fornito un determinante apporto gli ottimi attori del Piccolo Teatro di Milano, Jonathan Lazzini, Anna Manella, Marco Mavaracchio, Francesca Osso e Simone Tudda impegnati nella recitazione di un testo teso e pregnante, quello di Emanuela Giordano, asciutto e nel contempo coinvolgente, per lo più scevro di retorica, concepito con un ‘ritmo’ musicale serrato e vieppiù stringente, al quale l’alternanza delle voci attoriali (maschili e femminili) e il misurato mutarsi di posizione sul proscenio da parte di attrici ed attori hanno contribuito ad esaltare, amplificandone le risonanze emotive, grazie anche alle sapienti e dissimili corde di recitazione dei professionisti medesimi.
Sobrio e lineare l’impianto dello spettacolo, della durata complessiva di un’ora e dieci, per la regia della stessa Giordano in cui immagini, canto e narrazione si intrecciano con delicatezza e intensità ai documenti video originali: orchestra e coro disposti sul palco (a governare il tutto con mano salda e scrupolosa maestria l’ottimo Alessandro Cadario, maestro del coro Andrea Secchi), un maxi-schermo sul fondo sul quale scorrono immagini tratte in buona parte dagli Archivi Teche Rai su licenza di Rai Com S.p.A., ‘montate’ in video a cura di Pierfrancesco Li Donni e Matteo Gherardini, unite alla drammaticità della voce di Paolo Borsellino che, dopo la morte di Giovanni Falcone, denuncia l’isolamento in cui era stato lasciato l’amico. Un racconto in musica in cui orrore, paura, senso di sconfitta, sgomento di un intero paese, morte, rimandi poetici a Gesualdo Bufalino, speranza, fiducia nella rinascita, desiderio di riscatto, individuale e collettivo, e molto altro ancora convivono con equilibrata efficacia.
Marco Tutino ed Emanuela Giordano hanno concepito una partitura drammatica in tre parti: Le stragi. La reazione. Il Presente. All’interno di questa struttura ternaria svariate sezioni, che vedono alternarsi l’orchestra, gli attori, il coro con la presenza determinante di una voce solista di soprano, l’ottima Maria Teresa Leva e le immagini in proiezione a far da fil rouge. Molto calibrato il mix di tali elementi, dunque ora orchestra e immagini, ora attori con la musica sullo sfondo, ora gli attori soli e via elencando.
All’evocativa Ouverture fanno seguito le toccanti sezioni «Basta così» e «Ricordo quei giorni»; poi nella seconda parte ecco «La reazione alle stragi» e il vasto «Libera me» a sua volta tripartito, in cui fanno la comparsa il soprano e così pure il coro (testo di Vincenzo Consolo), seguito da un passo solamente attoriale («Nel silenzio»). Da ultimo «Cosa resta di noi», «L’eredità dei giusti», vero climax emotivo e infine «Nun mi lassari sulu» (testo di Ignazio Buttitta) nuovamente affidato all’intensità del soprano assecondato da un denso tessuto orchestrale.
Tutino (che del Regio fu Direttore artistico dal 2002 al 2006 nonché ideatore, promotore e, con altri sei compositori, autore del Requiem per le vittime della mafia, eseguito nella Cattedrale di Palermo il 27 marzo 1993) – mano esperta e consumata perizia tecnica – concepisce una partitura duttile piegando l’orchestra ora al ruolo di base armonico-timbrica (un’orchestra dal corposo organico); sicché ne sprigiona una sorta di fascinoso melologo, ora aprendosi a veri e propri interludi sinfonici, con un parsimonioso, ma efficace uso di leit-motive, ora affidando alla voce (l’ultima sezione) un lirismo di stampo, non paia una diminutio, post mascagnan-pucciniano, ora puntando su pathos ed elegia, ora con innesti alquanto più energetici. La sua è una musica improntata a cordiale comunicativa, lontana dalle algide sperimentazioni di certa avanguardia che ha ormai fatto il suo tempo, pur tuttavia mai banale o corriva.
Ben assecondato da Orchestra e Coro del Regio, Cadario, già lo si anticipava, nuovamente al Regio dopo il suo debutto nel maggio 2018, ha restituito tutta l’intensità di una partitura che spesso muove da piccole cellule per poi espandersi in veri e propri, immani apici emotivi, trascorrendo dal pianissimo ad esacerbati fortissimi e conseguendo esiti di innegabile suggestione: mai fine a se stessi, bensì sempre al servizio del potenziamento emozionale delle parole la cui forza è innegabile. Una musica, quella di Tutino, che spesso occhieggia alla tonalità, sia pure allargata, dalla raffinata tavolozza timbrica e dalla complessa tessitura ritmica, ma al tempo stesso di apodittica chiarezza e immediata presa sull’ascoltatore: una musica che sa farsi da parte, quando occorre, lasciando spazio alla sola vis della recitazione, divenendo poi protagonista nelle parti corali e nella già citata protratta sezione conclusiva, una musica posta intelligentemente al servizio dell’impegno civile: per non dimenticare il sacrificio di due uomini coerenti e dai solidi principi morali, focalizzando l’attenzione sulla responsabilità di noi tutti nel raccoglierne l’eredità. Per l’appunto l’eredità dei giusti.