di Gianluigi Mattietti
Witten, piccolo centro della Ruhr, ospita dal 1969 un’importante rassegna, i Wittener Tage für neue Kammermusik, che ha tenuto a battesimo numerosi capolavori della musica del nostro tempo e che ha consolidato la propria fama grazie alla collaborazione con la radio del Westdeutschen Rundfunk (WDR). Il programma di quest’anno, compresso come al solito in tre giorni fitti di concerti, comprendeva, oltre a numerose commissioni, anche un ampio focus dedicato alla compositrice serba Milica Djordjević.
Nata nel 1984 a Belgrado, allieva di Ivan Fedele al Conservatorio di Strasburgo, poi studi all’Ircam e a Berlino, sotto la guida di Hanspeter Kyburz, si è imposta in questi anni all’attenzione internazionale con una musica veemente, aspra, fatta di gesti forti, dai colori accesi, di grande impatto emotivo, nella quale si possono cogliere anche ricordi degli anni vissuti in Serbia, legati sia all’esperienza della guerra che della musica popolare. L’esuberante fantasia sonora che emerge nelle sue composizioni, nasce da esperienze semplici, elementari, da eventi quotidiani (come il ricordo dei bicchieri che sobbalzavano al passaggio dei treni, quando abitava in un appartamento vicino a una ferrovia), elementi fisici e sensoriali che si trasformano in materiali sonori e processi musicali, in un approccio creativo molto vicino a quello dell’espressionismo astratto in pittura: non è musica descrittiva né evocativa, non viene “raffigurato” alcun oggetto, non viene trasmesso alcun “significato”, non ci sono connotazioni stilistiche, ma è la materialità del suono, e il suo evolversi, al centro dell’attenzione.
La compositrice serba dà forma a trame sonore astratte, piene di passaggi oscuri e interne turbolenze, dotate di energia, tensione nervosa, e di una ruvidezza estrema che sorprende anche nei pezzi solistici. Ne sono straordinari esempi due pezzi solistici, quasi dei cavalli di battaglia, entrambi eseguiti a Witten e incisi nel cd monografico della Wergo (WER 64222): Do You Know How To Bark? (2010) per contrabbasso, eseguito da Florentin Ginot, che ha strettamente collaborato con la compositrice nella sua fase creativa, e …mislio bi čovek: zvezde (…si potrebbe pensare: stelle) del 2015, eseguito da Teodoro Anzellotti.
Il primo, un lavoro molto vivo, fisico, quasi “animale”, parte da un gesto estremo, una nota pedale, “grattata” con grande forza, come l’abbaiare di un cane, che si sviluppa in una corsa frenetica, oscillante tra increspature rugose, inflessioni delicate e cantabili, colpi ritmati sulla cassa, per concludersi su bicordi di armonici che salgono verso l’acuto, come una lunga risonanza dell’impulso iniziale. Il lavoro per fisarmonica esplora un mondo di possibilità strumentali, giocate tra due estremi: da un lato un suono chiaro, puro, quasi “elettronico”, che introduce il brano, dall’altro una serie di gesti nervosi, cluster, suoni “sporchi”, anche riferiti alla tradizione popolare della fisarmonica in Serbia. Le continue increspature della materia sonora, che creano effetti turbinosi e febbrili, si colgono anche nei numerosi lavori per ensemble, come Phosphorescence, The Death of the Star-Knower, How to Evade?, Manje te u majke groze, incisi nel cd Wergo, e nei due movimenti di Transfixed (2020), eseguiti a Witten dall’Ensemble Modern. In questo dittico (il titolo si riferisce in parte alla fascinazione per l’idea di trapassare, perforare, fissare qualcosa con un’arma appuntita) le due parti sono come due tentativi diversi e indipendenti di mettere a fuoco le rispettive costellazioni di suoni strumentali, di trasformarli in pura energia, in una forza selvaggia. Il risultato sono sonorità impulsive, arcaiche, che richiamano esplicitamente la musica di Xenakis (alla quale Djordjević si appassionò quando era ancora studentessa a Belgrado), trame rumoristiche, effetti graffianti, granulosi, scoppiettanti, gesti “urlati” dagli ottoni, “suoni lamentosi” e striduli (tra le indicazioni in partitura c’è anche scritto «cercare il suono più sgradevole, lacerante, stridente, come le unghie su una lavagna»), talora avvolti in aloni di armonici o sostenuti da lunghi suoni bordone. All’opposto, il nuovo lavoro per orchestra da camera, scritto su commissione della WDR, O drveću, nežnosti, Mesecu… (degli alberi, della tenerezza, della luna…) appare quasi sorprendente, come uno studio sulla fragilità: è fatto di suoni delicati, piccole scintille che si evolvono e si intrecciano in agglomerati contrappuntistici, in una nuvola di rumori che via via trova l’intonazione, si trasforma in una grande fascia armonica, che sembra respirare, con venature melodiche al suo interno, generando l’atmosfera quasi di un notturno.