di Attilio Piovano
Davvero un bel programma, quello impaginato dal Duo Gazzana (Natascia, violino e Raffaella, pianoforte) per il concerto tenuto nell’ambito della XXXI stagione di Polincontri Musica, a Torino.
La sera di lunedì 28 novembre 2022, presso l’Aula Magna ‘G. Agnelli’: dall’ottima acustica e dotata di uno Steinway gran coda in assoluto tra i migliori dell’intero parterre delle sale cittadine (di norma assai apprezzato dagli artisti ospiti in stagione). E allora ecco due pagine assai celebri – la schumanniana Sonata op. 105 e, in chiusura l’effusiva Terza Sonata op. 45 del nordico Grieg – a incorniciare brani di Bloch e del contemporaneo Kõrvits.
Il primo dato che colpisce nel Duo Gazzana è il notevole affiatamento (per dire, sul piano ritmico, e non solo, sono costantemente ‘in asse’, perfettamente allineate), più ancora emerge la capacità delle due artiste di ‘pensare’, ovvero di immaginare i brani con una medesima ‘visione esecutiva’. E non è cosa da poco, né affatto scontata. Spesso capita di ascoltare formazioni delle quali si percepisce subito come ogni interprete abbia una visione diametralmente opposta dell’autore e del pezzo. Non così le sorelle Gazzana, avvantaggiate, certo, oltre che dallo studio alacre e dall’evidente lavoro quotidiano, da una simbiosi per così dire cromosomica, insita nel comune DNA. In loro è costante la cura dell’equilibrio fonico tra i due strumenti che mai si sovrastano a vicenda e che sono sempre, per così dire, entrambi ‘in primo piano’ o per usare un termine mutuato da un altro universo, ‘in presa diretta’: fatta salva l’ovvia necessità di far primeggiare il violino dove occorre e lasciare, per contro il giusto rilievo al pianoforte nei non pochi passi squisitamente solistici che gli competono in un programma siffatto.
Detto ciò di Schumann è parso a fuoco il carattere del brano del quale il Duo Gazzana ha inteso porre in rilievo specie il carattere flamboyant e appassionato dei tempi estremi. E allora ecco apparire al meglio l’inquieta turbolenza del movimento d’esordio come pure, per contro, l’estroversa e giubilante serenità del Finale; bene anche la fresca fragranza del centrale Allegretto. Laddove di Grieg il Duo Gazzana ha ben colto quel mix idiomatico e peculiare di ‘colori’ nordici (certe rarefazioni e talune frasi raggelate) nonché di solidità teutonica: del resto il compositore nativo di Bergen, in Germania, nell’austera Lipsia ricca di storia, aveva compiuto la propria formazione.
Bel suono, quello di Natascia, e spiccata personalità, ottimamente assecondata dalla sorella Raffaella alla tastiera; appena tradita (quanto a intonazione) dall’esuberanza in qualche tratto tumultuoso. Apprezzati peraltro i suoi suoni filati e certe raffinatezze dinamiche e timbriche, contrapposte a intenzionali ‘asprezze’, volte a restituire la robusta veemenza di non pochi passaggi dell’incandescente Sonata. Bene poi anche gli episodi in cui il pianoforte con le sue iridescenze e i suoi liquidi arpeggi si pone al servizio di quel melos lievemente melanconico e nostalgico che di Grieg è uno dei motivi di maggior fascino: e il violino ha modo di librarsi aereo e sereno, indugiando a lungo nel registro acuto. È il caso ad esempio della bella cantabilità del tempo centrale del quale il Duo Gazzana ha ben restituito il clima di trasognata serenità.
Gradita sorpresa, a centro serata, (ri)ascoltare con innegabile godimento il brano mediano (Nigun) da Baal Shem del ginevrino Bloch: pagina della quale il Duo Gazzana ha posto in rilievo i profili esotici, la curva per così dire moresca e arabeggiante, ma è ovviamente più corretto dire il vocalizzare tipicamente ebraico del brano che ha poi un suo lussureggiante climax dalla sgargiante timbrica e dalle dense sonorità: ben emerso nell’interpretazione delle due artiste. Ancor più sorprendente ascoltare – per la prima volta, ancorché non di première assoluta si trattasse – i fascinosi quattro Notturni che l’estone Tõnu Kõrvits proprio al Duo Gazzana ha dedicato. Il pubblico ha mostrato di gradire queste quattro pagine, brevi e pur intense dalla cordiale comunicativa nonostante il linguaggio segnatamente moderno, eseguite con comprensibile partecipazione emotiva. E dunque il clima statico e raggelato del primo con certi estesi passaggi del violino volti ad evocare arcane risonanze, poi l’inatteso esotismo del secondo, la cupa esplorazione timbrica del terzo col pianoforte che alterna zone espressive nel grave a barbagli di luce all’acuto e da ultimo le pensosità del quarto, assorto e (ancora una volta) evocativo di algidi e spaziosi orizzonti.
Applausi convinti e la delicata nostalgia, lagunare, brumosa e un poco frale, del notissimo Adagio dal Concerto in re minore per oboe e orchestra del settecentesco Alessandro Marcello, offerto quale bis, che fin dalle battute d’esordio ‘fa’ subito Anonimo veneziano.
La stagione di Polincontri dal variegato cartellone per la direzione artistica di Marco Masoero, si era inaugurata in ottobre con un apprezzato recital del duo pianistico formato da Eliana Grasso e Irene Veneziano che spaziava da Debussy a Saint-Saëns (l’evocativa Danse macabre che quasi nulla perde nella ‘riduzione’ pianistica), da Brahms a Moszkowski a Čajkovskij. Sul versante cameristico da segnalare gli apprezzati concerti del super consolidato Trio di Torino (che ha inteso accostare l’op. 18 ancora del raffinato Saint-Saëns all’op. 87 di Brahms, dandone una duplice ed esemplare interpretazione) e la monografia beethoveniana offerta dal Trio Raffaello (op. 1 n. 1 in abbinamento al sublime ‘Arciduca’, il 21 novembre scorso).
Non poca curiosità ha destato il violoncello elettrico di Alberto Casadei che, sostenuto dal pianoforte dell’esuberante Elisa Tomellini, ha confezionato uno spregiudicato programma in cui Piazzolla e Nino Rota trovavano spazio accanto ai Coldplay ed a Pierre David Guetta, un vero e proprio esempio di trasversale eclettismo, mentre il violinista Gabriele Pieranunzi (in abbinamento al poliedrico Bacchetti) ha preferito tenersi in territori ‘cogniti’ esordendo nel segno di Haendel e Beethoven per poi spingersi al Paganini delle ‘Streghe’ giù giù sino al Bartók delle sempre affascinanti Danze popolari rumene. Da registrare, poi le collaborazioni con l’EstOvest Festival e le incursioni nell’universo di violoncellisti nordici quali Anssi Karttunen grazie alla bravura (interpretativa, ma anche organizzativa) di Claudio Pasceri e il divertente pomeriggio offerto da Claudio Romano (già primo oboe per lunghi decenni dell’OSNRai e stretto collaboratore di Morricone), quasi per intero dedicato a immortali colonne sonore, grazie alla formazione dei Cameristi Cromatici. Non basta: il 5 dicembre il pianista e direttore d’orchestra Carlo Guaitoli che fu legato da un protratto sodalizio con Franco Battiato, ne realizzerà un ricordo in musica: con brani celebri, racconti, testimonianze, inediti e altro ancora. Per i torinesi, da non perdere. Stay tuned.