di Luca Chierici
La colossale Ottava sinfonia di Mahler diretta da Riccardo Chailly è approdata finalmente alla Scala dopo un lungo rodaggio milanese che era iniziato nel lontano 1986 con i complessi della Rai al Palatrussardi e che si era prolungato nel 2013 in Fiera al Centro Congressi Mico 2013 con l’allora Orchestra Verdi.
Il problema connesso all’esecuzione di questa sinfonia è una questione di numeri e allo stesso tempo di acustica. Numeri per ciò che riguarda il totale degli esecutori tra orchestra, coro e solisti vocali; acustica perché una sala adatta ad ospitare un complesso così ingente non la si trova così facilmente e rischia di offrire una condizione di ascolto non adatta nello specifico a questo tipo di musica. Se l’esecuzione del 2013 era stata parzialmente penalizzata a causa appunto dell’acustica non propriamente felice della sala fieristica, la ripresa dell’evento nella sede del Teatro alla Scala, recentemente “migliorata” grazie a una nuova struttura di pannelli multistrato di un legno speciale originario delle foreste tropicali dell’Africa occidentale, utilizzato per le sue qualità di densità e fono-riflettenza, si è rivelata ottimale per l’ascolto di questo capolavoro che alla sua prima presentazione pubblica a Monaco di Baviera poté vantare un parterre di musicisti, scrittori, personalità della cultura davvero invidiabile.
Chailly era alla sua ottava esecuzione pubblica di questa sinfonia, ne conosce alla perfezione ogni dettaglio ed era pronto a dominare il complesso formidabile di esecutori in gioco. Non che l’ottava non rappresenti un problema di concertazione di difficile raggiungimento, ma è soprattutto il tenere le fila di tutta una complessa macchina da guerra a impensierire il direttore, che dall’inizio alla fine è impegnato in una visione multipla e sincrona di mille accadimenti. Ciò avviene soprattutto nella prima parte del lavoro, mentre nella seconda si attua un gioco di piani sonori differenti, dai tremoli dei violini in pianissimo alle esplosioni di suono della parte conclusiva, molto difficile da calibrare anche a seconda della sala in cui ci si trova ad operare.
Il direttore ha compiuto il miracolo di far rivivere questa sorta di distillato di tutta l’esperienza musicale tardoromantica. Qui Mahler prende come fondamento l’evocazione della tonalità tipica del Goetterdaemmerung, il mi bemolle minore, ma ne scardina continuamente le basi attraverso modulazioni inaspettate e colme di fascino, ribadendo ancora una volta la propria personale cifra stilistica che si dichiara del tutto in quello straziante intervallo di nona appena precedente la sezione Più mosso. L’intera Schlusszene del Faust è stata realizzata da Chailly con ammirevole profondità e intima conoscenza del linguaggio mahleriano, tanto da motivare ancora in noi la convinzione che proprio l’ottava rimanga in un certo senso la sinfonia che più riflette tra le altre il carattere del direttore milanese. Alla realizzazione dell’evento hanno evidentemente collaborato tutte le componenti che affollavano la locandina, dall’Orchestra e Coro (anche di voci bianche) del Teatro con i loro direttori Alberto Malazzi e Bruno Casoni al Coro de La Fenice guidato da Alfonso Caiani, ai solisti di canto Ricarda Merbeth, Polina Pastirchak, Regula Mühlemann, Wiebke Lehmkuhl, Okka von der Damerau, Klaus Florian Vogt, Michael Volle e Ain Anger. Il pubblico ha tributato a tutti le entusiastiche ovazioni che a dire il vero si accompagnano sempre alla performance di questa Sinfonia, forse non la migliore tra quelle del loro autore ma in ogni caso testimonianza di un momento creativo straordinario e di un esempio di accoglienza da parte del pubblico e della critica quale mai si era visto durante l’attività del musicista.