di Attilio Piovano
Strepitosa serata inaugurale per la stagione 2023-24 dell’Osnrai, a Torino, in Auditorium ‘Toscanini’ la sera di giovedì 26 ottobre (con diretta televisiva e radiofonica) e replica venerdì 27. Sul podio Fabio Luisi che della Sinfonica Nazionale Rai è il direttore emerito.
Gran mattatrice della serata l’immensa Martha Argerich che ha affrontato il pianistico Primo Concerto di Beethoven. Attesissima (l’evento era andato sold out due sole ore dopo la messa in vendita dei biglietti), la Argerich quasi non riusciva ad avvicinarsi al pianoforte, sovrastata dagli applausi scroscianti prima ancora che le note del Concerto beethoveniano iniziassero a fluire. Piena sintonia con l’orchestra e con Luisi, sicché ne è emerso un Beethoven già striato di elementi pre romantici, ma nel contempo ancora vistosamente legato a topoi mozartiani. E allora ecco che già l’attacco, con quel tema assertivo e ottimistico, era una vera lezione di stile. Il pianoforte, si sa, esordisce con un tema nuovo tutto suo: che la Argerich lo fa apparire ancora più sorprendente, imprimendo la giusta verve, ma anche energetico vitalismo; che gioia incontrare poi quell’altro tema che pare il il remake della Marsigliese e seguire il gioco delle modulazioni nello sviluppo. Giù giù sino alla cadenza che lasciava tutti senza fiato Una vera esegesi in forma di interpretazione, quella di Martha Argerich, che – per dire – pone in luce le anticipazioni di tale Concerto rispetto a Quarto ed addirittura Quinto: e basterebbe citare il passaggio che, nel sublime Largo precede la ripresa pianistica del tema cantabile (per i pedanti, o per chi segue sulla partitura, è quello delle battute 50-52), un passo selenico con il pianoforte che inanella una serie di sospirose appoggiature, circonfuse da un pedale alonato e mai udito con tale pregnanza, quasi a mostrare come in tal caso Beethoven si sia spinto ad anticipare climi pre impressionistici.
Poi la gioia del finale, bonario e scherzoso, con quei suoi arguti spostamenti di accento. La Argerich e Luisi lo hanno affrontato a velocità piuttosto elevata, comme il faut, mostrandone tutta l’ironia: e allora ecco le contrapposizioni quasi comiche di piano e forte, gli scarti armonici, quei tratti come di ballata popolare, il celeberrimo terzo tema dal colore singolarmente carioca (quasi un tema samba ante litteram), e molto altro ancora. Anche qui le sorprese non sono mancate, ed era una gioia seguire nota dopo nota sulla partiturina tascabile (pur avendo ben presente il superbo lavoro). E dunque il ‘vezzo’ ad esempio di enfatizzare il tema con una rimarchevole appoggiatura, quando, poco prima della scheggia di Adagio che precede il rumoroso epilogo, il pianoforte si fa un delicato carillon, quasi una celesta. Indimenticabile.
Così come indimenticabile è stato il bis, la Gavotta dalla bachiana Suite inglese in sol minore affrontata con un nitore adamantino, pur lontanissimo dalla esangue monocromia di certi barocchisti. ma soprattutto, al suo interno, la sorpresa della Musette con una pedalizzazione che le conferiva un colore lunare, e pareva il Debussy più onirico e visionario. A dir poco geniale e spregiudicatamente fascinoso, alla faccia dei cultori di certa inutile e pedante pseudo filologia. Una performance, quella della grande Martha, di cui conserveremo a lungo un gradito ed emozionante ricordo.
Seconda parte di serata nel segno di Čajkovskij, e si è trattato della vasta e sempre coinvolgente Quinta sinfonia, la cui valutazione critica ha sempre risentito un poco della sua ‘collocazione’ a mezza strada tra i capolavori della Quarta dall’esplicito biografismo e della eseguitissima Sesta ‘Patetica’. Una Sinfonia, la Quinta, della quale Luisi ha perfettamente centrato, quanto meno a giudizio di chi scrive, l’esprit e il colore, con giusti stacchi dei tempi. Una bella, anzi splendida vetrina per l’orchestra, in forma super smagliante in tutte le sue sezioni, un’orchestra, l’OSNRai, ormai da tempo a livelli molto elevati per qualità di suono, perfezione tecnica, coesione, affidabilità ed altro ancora.
Potendo contare su una macchina perfettamente oliata, Luisi, ha cesellato con cura una miriade di dettagli; e allora ecco la certosina pazienza nel concertare con meticoloso scrupolo quei passi di natura per così dire maggiormente cameristica, salvo farli reagire con le altisonanti fanfare degli ottoni che soprattutto nel Finale emergono con turgori indicibili. Merito di Luisi aver evitato eccessi di enfasi e retorica che talora finiscono per danneggiare la partitura della Quinta. Palpabile il pathos della pagina e così pure ben in evidenza la drammaticità di certi passi, specie di primo e quarto movimento. Non da meno il lirismo dell’Andante destinato ad assumere toni accesi ed esasperati, ma mai eccessivi, e la dimensione carezzevole e graziosa del terzo tempo (Valse).
Apici dinamici di forte impatto e impressionanti sonorità, pur tuttavia – merita ribadirlo – scevre di enfasi retorica e, per contro, zone di estrema rarefazione, accenni a cupe desolazioni (l’esordio dell’Andante) e una costante, sorvegliatissima e scrupolosa attenzione a dinamiche, fraseggi ed agogica. Ancora una volta, vien da dire, una lezione di stile che mirava a sottrarre la Quinta a certi stereotipi (c’è chi tuttora la considera, forse un po’ semplicisticamente, «una parentesi serena ed ottimista, un momento di gioia che la separa da Quarta e Sesta» e si sa che non è solo questo), un’interpretazione del tutto convincente, soprattutto coerente e unitaria dalla prima all’ultima nota.
Successo di pubblico a dir poco enorme, riverberato dalle dirette televisiva e radiofonica cui si accennava (da rilevare la sagace regia di Ariella Beddini, pulita, lineare e perfettamente funzionale al godimento dal piccolo schermo), e ‘replica’ la sera del venerdì, con altro bis, per gli abbonati alla serie blu, con analogo triplice trionfo per solista, direttore e orchestra. What else?