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In scena al Teatro Bellini di Catania il titolo verdiano, la regìa è di Roberto Laganà e la direzione musicale di Michelangelo Mazza
di Santi Calabrò foto © Giacomo Orlando
RIGOLETTO è il dramma di Verdi in cui la dialettica tra “tipo” e “personaggio” segna il momento di frizione più evidente, investendo i contenuti non meno che la forma. Ai due estremi dell’uomo che agisce secondo schemi di superficie – che sono poi la sua stessa sostanza – e di quello che indossa maschere cangianti sotto cui agiscono sentimenti di verità devastante, corrisponde la compresenza nell’opera della convenzione esibita senza scavo alcuno e del ritratto di una psicologia complessa. Il Duca di Mantova e Rigoletto si fronteggiano senza scontrarsi direttamente e il loro conflitto necessita di braccia che si incarichino del lavoro sporco: cortigiani e sicari stanno lì apposta, dalla notte dei tempi, mentre i mondi dei mandanti restano paralleli e inconciliabili.
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Se Rigoletto e il suo padrone quasi non si incrociano in un’opera che pullula di duetti, entrambi duettano con Gilda, che da quella “guerra dei mondi” sarà risucchiata in un buco nero. Tutto ciò necessita anzitutto di voci importanti: al Teatro Bellini di Catania la produzione in scena in questi giorni esibisce un Rigoletto potente, Alberto Gazale, e una Gilda corposa come Daniela Bruera. Nel ruolo del Duca di Mantova canta Jaeheui Kwon, che fra i protagonisti è il meno stentoreo e il più elegante. Siccome il Duca è, a dirla tutta, un insieme di tipi – dal seduttore seriale all’innamorato romantico – Kwon fa grandi cose quando il Duca si avvicina a… Nemorino («Parmi veder le lacrime») e sta un po’ sulla difensiva, uscendone comunque bene, in altri momenti. Alberto Gazale invece gioca decisamente all’attacco, ma sempre in una linea di belcanto che non trascura le note (il che spesso con i baritoni non è assicurato), e restituisce un Rigoletto grandioso – anche se, prima che il dramma si scateni, fa desiderare qualche nuance più tenera con la figlia.
Daniela Bruera, con una voce ricca di sostanza, di armonici, di colore, fraseggia correttamente la sua Gilda che riesce connotata più come donna che come fanciulla, e comunque più tipo che personaggio (Gilda, unica, fa parte sia del mondo della cabaletta che di quello della parola scenica, e le cantanti possono “scegliere”, secondo attitudini e inclinazioni). Maurizio Muscolino (Sparafucile), Kulli Tomingas (Maddalena), Davide Giangregorio (Monterone) completano decorosamente il cast, il coro è all’altezza e Michelangelo Mazza, il direttore, afferra bene la drammaturgìa verdiana soprattutto sotto il profilo della pulsazione che intercorre tra musica e scena, tra eventi e trama sonora, con un vigore che avendo in scena un Rigoletto come Gazale appare del tutto appropriato. La regìa di Roberto Laganà è di impianto tradizionale, corretta, con il coro un po’ fermo – ma canta bene –, e con Monterone lasciato un po’ troppo giovane (in un ruolo di questo tipo truccare il cantante sarebbe il minimo). Salvatore Tropea, scenografo, ricorre anche a gradevoli fondali dipinti, che in tempi economicamente non facili, come quelli attuali per il Teatro di Catania, sono di sicuro una risorsa da non trascurare. Successo per tutti alla prima, con Gazale e la Bruera particolarmente acclamati.
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