di Attilio Piovano


decca barenboimUn cd davvero speciale, quello recentissimo della Nona di Mahler diretta da Barenboim alla guida della Filarmonica della Scala. Davvero speciale dacché si tratta della registrazione live dell’ultimo concerto tenuto da Barenboim nel suo ruolo di direttore musicale presso il massimo tempio della lirica, il 15 novembre 2014. Speciale soprattutto per le emozioni che restituisce, fin dai primi istanti di questo vero e proprio itinerario dell’anima, Sinfonia che il sommo Mahler – si sa – non fece in tempo ad ascoltare. Quando Bruno Walter la diresse per la prima volta a Vienna il 26 giugno 1912, Mahler aveva infatti ormai concluso il proprio itinerario terreno lasciando ai posteri l’eredità del suo sinfonismo in cui, come un sismografo, sono registrate le inquietudini dell’uomo moderno, i presentimenti del secolo che avrebbe visto le tragedie di ben due Guerre mondiali.


Una lettura iper analitica, dove ogni strumento ha il giusto peso


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Barenboim ne coglie perfettamente l’esprit, fin dal proteiforme Andante, potendo contare su una compagine dalla perfetta fusione e dalle ottime prime parti. Di esso Barenboim, staccando tempi misurati, focalizza le sonorità ora livide e grottesche, ora alquanto più calde (i violoncelli dal calore effusivo e i violini mai aspri). Ecco poi momenti di sfolgorante accensione che raramente accade di ascoltare investiti di una simile vis espressiva, ma anche lo stranito gocciolare dell’arpa nel grave, le sonorità soffocate degli ottoni e quei brandelli di melodia che emergono come per incanto, animandosi a poco a poco con un calibrato dosaggio, e qui sta il merito del direttore di razza: brandelli di melodia che Barenboim pone a reagire con quei clangori e quegli schianti che di Mahler sono la più autentica firma. Apici dinamici di indicibile appeal, ma senza mai eccessi, né alcuna concessione al facile effettismo. Ogni nota una giustificazione, ogni fraseggio una sua logica; una lettura iper analitica, dove ogni strumento ha il giusto peso (il pulsare dei timpani, i rintocchi arcani della campana, le frasi degli archi, il violino solo di limpida purezza e dal suadente vibrato, le cristalline emersioni del flauto, il pigmento silvestre del corno), giù giù sino ai culmini di certe zone, e al tempo stesso una visione di insieme di ammirevole saldezza, vera lezione di stile, con quei ‘tira e molla’ ricchi di charme e pur sorvegliatissimi, le delicate rarefazioni timbriche della cameristica coda e molto altro ancora, come uno sguardo à rebours, un commosso e partecipe addio al mondo che Mahler sapeva di dover lasciare. 

Poi ecco il seguente In tempo di Ländler. Anche qui: misura e compostezza paiono la cifra della lettura di Barenboim, pur attento a porne in luce il tono (solo in apparenza) popolare, quel certo humour tipicamente slavo. Molto bene i raccordi ritmici tra le varie sezioni della partitura impregnata di naiveté e che paiono giustapposte, richiedendo estrema cura. Gran prova di tutta l’orchestra. Un plauso speciale ai legni, in primis al fagotto, gran novellatore, capace di evocare un mondo intero, tra fiaba e argute sortite con quella semplice scala ripetuta all’infinito, l’ottavino mai impertinente (ed è un miracolo), il gioco dei campanelli, gli archi esuberanti, come ebbri e con suono squisitamente ‘zigano’ dove occorre, i tinnuli rintocchi di triangolo, le percussioni corpose e molti altri dettagli. Poi il Rondò Burleske, vero brano ‘di bravura’ dall’incedere deciso e dall’indicibile energia, tutto scioltezza e nel contempo esattezza ritmica: non una sbavatura, come un solo ‘getto’, una fusione ottenuta con una colata unica e un vitalismo che ha del prodigioso, somma eleganza anche nei passi smaccatamente ruvidi e ispirati a quell’estetica della Trivial Musik che di Mahler sono una conclamata caratteristica, ma anche la struggente oasi lirica della zona mediana e certe acidule interpunzioni mai parse così incisive, certi sguardi alle precedenti Sinfonie, cui la partitura occhieggia: e Barenboim lo evidenzia con tocco mirifico.

Infine, con superbo contrasto, come occorre, la nobile ieraticità del commovente Adagio e tutto quel senso di nostalgia come di sguardo retrospettivo, gli archi ambrati e suasivi, l’estremo spingersi nell’ultimo, disperato fortissimo e infine l’incorporea ‘sospensione’ delle battute finali: come un accorato Lebwohl, come un protendersi sull’abisso. E si resta ogni volta attoniti. Un cd tutto da assaporare. Un Mahler totalizzante e coinvolgente. Indimenticabile.

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Pubblicato il 2015-03-29 Scritto da

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