di Redazione
Giovanni Battista Viotti è uno di quei musicisti cui il destino ha regalato un ruolo “ingrato”: essere considerato storicamente fondamentale (nel suo caso, per il violino fra Settecento e Ottocento), ma non avere oggi dal punto di vista esecutivo una notorietà che corrisponda a questa importanza, e dunque essere tutto sommato ancora misconosciuto. Del resto, il compositore di Fontanetto Po (Vercelli) nato nel 1755, otto mesi prima di Mozart, ha rinunciato ben presto alla carriera di autore e di virtuoso, nonostante il suo successo fosse notevole, e ha sempre cercato invece di fare l’impresario teatrale, collezionando più smacchi che affermazioni.
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Eppure il suo lascito artistico principale, i 29 Concerti per violino e orchestra, è per molti aspetti davvero capitale. Nei casi migliori, infatti, queste composizioni presentano caratteristiche molto originali: la scrittura è complessa, espressivamente assai articolata e ricorre frequentemente al modo minore come non era frequente all’epoca, in un genere essenzialmente mondano e di consumo come il Concerto. Lo stile solistico è improntato a un virtuosismo multiforme, che non è basato semplicemente sull’agilità ma punta a una diffusa cantabilità nei movimenti lenti e si esprime comunque sempre con notevole equilibrio nel rapporto con l’orchestra.
Viotti insomma, pur componendo nel pieno del fulgore dello stile classico, almeno per quanto riguarda i primi 19 Concerti, mostra già chiaramente quali potranno essere gli sviluppi dello stile concertante al traguardo del nuovo secolo e proprio per questo si pone come “caposcuola”, non soltanto in ambito francese. Perché non è chi non senta quanto debba alla maniera di Viotti il Concerto per violino di Beethoven, e tramite esso, un epocale capolavoro romantico come il Concerto di Mendelssohn. Senza contare che è difficile immaginare il fenomeno Paganini senza le “fondamenta” poste da Giovanni Battista Viotti.
Un contributo importante per fare uscire questo musicista dalla nicchia storica in cui è relegato (e magari per riportarlo con più frequenza alla luce dei programmi concertistici) arriva dal progetto di registrazione integrale dei Concerti per violino che la Decca ha affidato a uno specialista come Guido Rimonda e all’orchestra da lui stesso fondata, la Camerata Ducale. Il quarto Cd della serie iniziata nel 2012 è uscito nello scorso giugno e presenta due Concerti, il n. 2 (con la scatenata “Polonaise en Rondeau” dell’ultimo movimento) e il n. 19, oltre a due frammenti postumi del secondo e terzo movimento di un Concerto in La maggiore numerato come trentunesimo.
Particolarmente ampie e ambiziose le dimensioni del Concerto 19, nella drammatica tonalità di Sol minore, un lavoro che meriterebbe stabile presenza nel repertorio; più “classicistico” il Concerto 2 in Mi minore, che offre al violino un’esteriorità brillante maggiore del ruolo severo eppure affascinante disegnato per lo strumento solista nell’altra composizione. In entrambi i casi, Rimonda si propone con suono di grande eleganza e ricchezza, stilisticamente impeccabile nell’evocare appieno la posizione “di confine” di questa musica, tecnicamente in costante rilievo per precisione e nitidezza, dal colore altamente eloquente. La Camerata Ducale gli corrisponde con piena efficacia e adeguato piglio sinfonico, quando lo spessore dell’invenzione di Giovanni Battista Viotti lo rende necessario.
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Pubblicato il 2015-08-07 Scritto da CesareGalla