di Monika Prusak foto © Rosellina Garbo
Al Teatro Massimo di Palermo torna Lucia di Lammermoor nell’allestimento che ebbe molto successo nel 2003 con protagonista Mariella Devia e che è stato riproposto nel 2011 con Desirée Rancatore. La regia di Gilbert Deflo con scene e costumi di William Orlandi e luci di Roberto Venturi, riduce al minimo l’uso degli oggetti scenici e il movimento dei cantanti. Il palcoscenico si tinge di nero, così come i costumi, lasciando l’unico tocco di bianco all’abito nuziale di Lucia, macchiato successivamente di sangue. L’illuminazione calda e monocromatica schiarisce momentaneamente gli ambienti, tuttavia senza compromettere l’elegante effetto gotico. L’operazione di svuotare piuttosto che riempire lo spazio scenico intende concentrare l’attenzione sugli interpreti e di conseguenza, esige un approccio costruttivo dei personaggi e linearità nell’andamento dell’azione.
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Il palcoscenico è decisamente nelle mani dei protagonisti maschili: Enrico interpretato da Marco Caria ed Edgardo di Giorgio Berrugi sono nemici consapevoli e convincenti. Berrugi incanta con il suo belcanto tecnicamente perfetto; entrambi i cantanti presentano una gestualità scenica matura e naturale. Anche Luca Tittoto è all’altezza nel ruolo di Raimondo: i tre uomini accentuano la discriminazione della protagonista, impossibilitata nel decidere sulla propria sorte. Questo tratto di Lucia è ben evidente nell’interpretazione di Elena Mosuc, soprano incantevole per timbro e presenza scenica. Tuttavia, l’artista non riesce a mantenere la giusta tensione dell’azione, iniziando sempre in maniera promettente e perdendo poco a poco fermezza nell’interpretazione. La Mosuc anticipa inspiegabilmente lo stato di pazzia di Lucia, arrestando lo sviluppo del carattere e rendendo il personaggio piuttosto monotono. Una nota va a Patrizia Gentile in Alisa e Francesco Pittari in Normanno, mentre non convince Arturo di Emanuele D’Aguanno.
La vera sorpresa di questa edizione di Lucia è l’impiego della glasharmonika nella scena della pazzia. Sascha Reckert ha proposto un’esecuzione perfettamente sincronizzata con la protagonista, aumentando di molto l’espressività della scena e donandole un timbro spettrale e impressionante. Ci si sarebbe potuto aspettare più incisività dalla direzione di Riccardo Frizza, troppo corretta nei momenti salienti dell’opera. Lo stesso vale per il coro, immobile quasi fosse parte della scenografia, mentre l’orchestra esegue le indicazioni del direttore, a parte qualche imprecisione iniziale.
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