di Ida Zicari
Documento piuttosto che ritratto, testimonianza piuttosto che autobiografia: con l’obiettivo di offrire al lettore il testo autografo restituito al suo stato originale, Bruno Ligore ha curato l’edizione italiana dei Ricordi di Maria Taglioni, tradotti dal francese da Annarita Stocchi. Perfettamente rispondente alla linea editoriale di Gremese, che mira da molti anni ormai alla valorizzazione del patrimonio italiano del balletto, il volume riporta alla luce i manoscritti della celebre ballerina ottocentesca così come erano stati affidati dall’autrice alla nuora Sozonga Ralli. Ai manoscritti sono assicurate integrità e veste di fonte autentica attraverso un lavoro di ricostruzione testuale filologicamente puntuale. Il materiale documentario autografo confluito nella pubblicazione comprende i 7 manoscritti conservati nel Fondo Gilbert de Voisins negli archivi della Biblioteca di Arti decorative di Parigi, i fogli manoscritti dei Souvenirs conservati nel Fondo Taglioni della Biblioteca-Museo dell’Opéra di Parigi, classificati con il codice R18, e un foglio proveniente da collezione privata: Nous nous amusions.
Sullo sfondo della storia della danza teatrale ottocentesca, si dipanano i Ricordi di Maria Taglioni: il “racconto” della vita d’artista che la celebre ballerina afferma di destinare alla lettura dei suoi figli piuttosto che alla pubblicazione. Sono “ricordi a ruota libera”, quindi incompiuti e disomogenei per ammissione della stessa autrice che, quasi accarezzando il tòpos della captatio benevolentiae, confida di scrivere in risposta a insistenti richieste dall’esterno. Ma il gioco retorico è subito smentito. Quanto si legge a introduzione dello scritto, si conferma scorrendone le pagine: Maria Taglioni rievoca le esperienze legate all’arte della danza ma, tirando il sipario sul resto, lascia spazio solo ai ricordi più dolci e più cari. E se ci si aspettasse di trovare tra le righe, anche solo in filigrana, un autoritratto costruito con l’intenzione di lasciare ai posteri un’opera letteraria, pur se frammentaria, si rimarrebbe delusi. Nella scrittura di Maria Taglioni non c’è godimento narcisistico né volontà programmatica di fissare un’identità. La verità, semplice, veicola una narrazione alla quale non attiene la cura formale della strutturazione, ma il solo atto comunicativo privato. Maria Taglioni fu felice, “molto felice” in tutto ciò che riguardò la sua arte. E la sua felicità, qui, sembra scaturire dalla sfera privata dell’esistenza, costellata di fatti apparentemente insignificanti, di affetti familiari e presenze determinanti collocati accanto ad anonimi personaggi di un qualsiasi vivere quotidiano: questo il vettore sul quale procede la selezione degli episodi, dei dettagli, dei flash e sul quale si concentra la memoria della ballerina tra le più amate e coccolate dal pubblico europeo.