di Marco Testa
Nel definire Liszt scrittore di ‘cose’ musicali si potrebbero rievocare le parole che Edward Said adoperò in una recensione apparsa sul London Review of Books a proposito di Charles Rosen all’indomani della prima edizione di quell’opera straordinaria e insuperata che è La generazione romantica: «Rosen scrive non da musicologo ma da coltissimo pianista». Così come quella di Rosen (seppure in contesto e modi completamente differenti) la prosa lisztiana è quella capacità di collegare la storia della musica, dell’arte e della cultura in un sistema complesso e connesso, dove le innumerevoli citazioni letterarie, mitologiche, bibliche o estrapolate dalla storia dell’arte sono la tela su cui egli rappresenta la propria visione unitaria, ancorché l’Ungherese cedesse più volentieri a indugiare nella retorica rispetto allo Statunitense, incorrendo talvolta in una pesantezza da imputare forse più all’epoca in cui visse che alla propria penna. Ad ogni modo la profonda dottrina del Liszt scrittore, dell’infaticabile analista, non può sfuggire alla considerazione di Nicolas Dufetel, il giovane musicologo – classe 1982 – che ha curato questi scritti, freschi di stampa in Italia presso Il Saggiatore con il titolo Wagner. Tannhäuser, Lohengrin, Il Vascello fantasma (anche se ci sarebbe da chiedersi perché l’editore non abbia riportato il titolo, più tradizionale, de L’Olandese volante).
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