
La produzione di Luciano Berio per pianoforte solo (a parte alcuni inediti giovanili, come la Pastorale del ‘37 e la Toccata per pf. a 4 mani del ‘39) è costituita dalle seguenti opere: Petite Suite del 1947, 5 Variazioni del 1952, Sequenza IV del 1966, Rounds del 1967, Six Encores (scritti tra il 1965 e il 1990), Sonata del 2001.
La Petite Suite, composta a soli 22 anni, è un’interessante testimonianza della prima formazione musicale di Berio, evidentemente ricca di influenze raveliane e strawinskiane. Pur nell’ambito di una maniera genuinamente “naif”, già in questa prima opera pianistica sono presenti quell’estro strumentale e quel divertito eclettismo che caratterizzeranno la poetica della maturità.
Le 5 Variazioni del ‘52 testimoniano l’adesione di Berio alla tecnica seriale, secondo la via già indicata da Dallapiccola, con cui egli studiò per un periodo. La dodecafonia in Berio non è quindi mai arida, ma sempre utilizzata con un’interpretazione affettiva, esaltando le possibilità melodiche ed espressive della serie, pur in una scrittura impervia e ricca di complesse soluzioni tecniche.
Dopo le 5 variazioni, Berio si allontana dalle istanze strutturaliste, per dedicarsi ad uno scavo delle potenzialità dei vari strumenti musicali e dei suoni elettronici, giungendo a risultati di primissimo ordine nelle sequenze, brani dedicati ad un solo strumento del quale Berio indaga anche il rapporto con la gestualità esecutiva e con la capacità percettiva dell’ascoltatore. Nella Sequenza IV, quindi, Berio considera la storia e i connotati sociali e culturali del pianoforte, ed evidenzia il rapporto tra l’esecutore e la tastiera, richiedendo spesso all’interprete una teatralizzazione della performance. Ampio e sistematico è l’uso del pedale tonale, con il quale si individua un particolare tipo di polifonia, dando vita ad un discorso secondario, dallo sviluppo più lento, che resta sempre sullo sfondo, come un fantasma. Berio ha composto questa Sequenza improvvisando al pianoforte, spesso toccando armonie jazz, o reminiscenze di musiche del passato, come, ad esempio, lo Studio in la bemolle maggiore di Chopin.
Rounds è invece un lavoro di proporzioni più contenute, in cui peraltro compare una grande varietà di atteggiamenti articolatori, con prevalenza di figurazioni rapide e repentini sbalzi di timbro e registro. La forma è ABA, e l’elemento B non è altro che una versione “capovolta” di A. Di questo brano esiste anche una precedente versione per clavicembalo (1966), incisa in CD da Klara Kormendi (Hungarton HCD 31606).
I Six Encores sono sei brevi pezzi, scritti tra il ‘65 e il ‘90, e raccolti sotto questo titolo, quasi ad evidenziarne la forma breve, aforistica e solo apparentemente disimpegnata. I primi quattro Encores sono dedicati agli elementi empedoclei: acqua, aria, terra, fuoco. Wasserklavier, del 1965, indaga gli aspetti simbolici e le suggestioni che possono essere legate al concetto di acqua, specie in relazione con gli strati “sommersi” della memoria: di qui l’utilizzo di materiale armonico derivato dall’Impromptu op. 142 n. 1 di Schubert e dall’Intermezzo op. 117 n. 2 di Brahms. Il risultato è di toccante nostalgia, anche grazie ad un attento ed originale studio sul timbro dello strumento, di cui si rievocano alcuni tratti salienti (in particolare derivati dal pianismo di Chopin, Debussy e Skriabin) con grande maestria ed originalità. Di Wasserklavier esiste anche una versione per 2 pianoforti, incisa dalle sorelle Labeque. Erdenklavier (1969) consiste in un’esplorazione degli effetti timbrici legati alla risonanza per simpatia ottenuta con giochi di note tenute e con forti contrasti dinamici. È un brano pressoché monodico,e forse anche per questo richiama atmosfere arcaiche, che possono essere associate ad una concezione archeologica dell’idea di “terra” e di ciò che sotto (o dentro) di essa si trova. In Luftklavier (1985), l’elemento “aria” è rievocato attraverso un rapido movimento di notine in pianissimo, non troppo differentemente dal successivo Feuerklavier (ma d’altro canto anche il fuoco, come l’aria, è imprendibile e in continuo movimento). Il “colore” pianistico è iridescente e cangiante, ed assume sempre diverse sfumature in base a vari accostamenti di materiale tematico. Feuerklavier (1989) è basato su un flusso turbinoso ed incessante di biscrome, attorno al quale si addensano materiali tematici in continuo sviluppo. L’estro virtuosistico è qui espresso con grande classe ed efficacia strumentale. Brin e Leaf (1990), che completano la raccolta degli Encores, sono brevi pagine con una poetica esplorazione delle possibilità timbriche del pianoforte: affiorano sonorità magiche o impalpabili, con evocative risonanze ottenute grazie al sapiente gioco di pedali e note tenute.
Il più recente brano pianistico di Berio è la Sonata, composta nel 2001 e affidata in prima esecuzione ad Andrea Lucchesini. Questo è il lavoro pianistico più articolato e complesso del compositore: dura più di 25 minuti e presenta una scrittura particolarmente varia ed impegnativa, richiedendo all’interprete un pianismo eclettico e diversificato: la tecnica tradizionale non è infatti sufficiente a rendere pienamente le molteplici inflessioni espressive. Sono spesso necessari approcci jazzistici e modalità di attacco del tasto non ortodosse per risolvere al meglio i difficili passaggi di clusters o di note ribattute. La forma è ciclica ed include in un unico grande movimento diverse sezioni ben caratterizzate. Si passa così da un’iniziale perorazione di un si bemolle (quasi come rintocchi di campane) a momenti squisitamente “melodici”, e poi ad altri più aggressivi, tempestati di gruppi accordali o figurazioni rapidissime. Anche nella Sonata l’uso del pedale tonale è di grande rilevanza e crea un’originalissima polifonia.
Importante anche la produzione di Berio per pianoforte e orchestra, che comprende il Concerto per 2 pf. e orch. (1972-73), Points on the curve to find… per pf. e 22 strumenti (1974), e il Concerto II – Echoing Curves per pf. solo e 2 gruppi strumentali (1988). In quest’ultimo brano la parte solistica del pf., a sua volta derivata da quella di Points on the curve to find…, “può essere intesa – come scrive lo stesso Berio – come una curva complessa, una linea continua e cangiante sulla quale gli altri strumenti si posano per interpretarne e svilupparne i caratteri armonici”. In altre parole, il pianoforte rappresenta la traccia da cui si sviluppa un gioco di elaborazioni timbriche e sovrapposizioni di materiali diversi, in cui anche la posizione degli strumenti nello spazio ha un ruolo determinante.
La tastiera è inoltre presente nei Due Pezzi per vl. e pf. (1951-66), nelle Quattro canzoni popolari per voce femminile e pf. (1952), in Tempi concertati per vl., fl., 2 pf. e strumenti (1958-59), in Memory (1970) per pianoforte elettrico e clavicembalo elettrico, in Linea (1973) per 2 pf., marimba e vibrafono e, in ruolo “passivo”, nella Sequenza X (1984) per tromba e risonanze di pianoforte. Qui il pianoforte compare al negativo, nel senso fotografico: come una pellicola, le corde si lasciano “impressionare” dalle emissioni sonore del trombettista entrando in vibrazione simpatica, ma senza mai essere percosse dai martelli. Tutti i brani pianistici di Berio sono pubblicati dalle edizioni Universal di Vienna, tranne le 5 Variazioni e i Due Pezzi per vl. e pf., editi da Suvini Zerboni.
Roberto Prosseda
[box bg=”#ededed” color=”#000″]
DISCOGRAFIA DELLA MUSICA PIANISTICA DI BERIO
Arts Music 47216: Sequenza IV – Massimiliano Damerini, pf.
Aura AUR171-2: Points on a curve to find… – Anthony Di Bonaventura, pf.; Orch. della Svizzera Italiana diretta da Luciano Berio
Classico 259: Wasserklavier, 5 Variazioni, Rounds, Leaf, Brin – Elisabeth Klein, pf.
DG 457038: Sequenza IV – Florent Boffard, pf.
MD&G Records 6130754: Sequenza IV – Steffen Schleiermacher, pf.; Linea – Josef Christof, Steffen Schleiermacher, pf.; Stefan Stopora, vibr.; Winfried Nitzsche, mar.
Mode 31: Leaf, Brin – Haydee Schvartz, pf.
New Albion Records 89: Petite Suite, 5 Variazioni, Six Encores, Rounds, Sequenza IV – David Arden, pf.
Norway Music 15: 5 Variazioni, Sequenza IV, Rounds, Brin – Kenneth Karlsson, pf.
Rca 68894: Concerto II – Echoing Curves – Andrea Lucchesini, pf.; London Symphony Orch., Luciano Berio, dir.
Sony SMK 45862: Points on a curve to find… – Pierre-Laurent Aimard, pf.; Ensemble InterContemporain, Pierre Boulez, dir.
Sony SK48381: Wasserklavier (versione per 2 pf.) – Duo Labeque
Sub Rosa 58: Six Encores – Jean-Luc Fafchamps, pf.
Videoradio 000356: Six Encores – Andrea Bacchetti, pf.
[/box]
[aside]
Luciano Berio è nato ad Oneglia, in Liguria, il 24 ottobre del 1925 da una famiglia di solida tradizione musicale. Inizia gli studi musicali col padre Ernesto e con il nonno Adolfo, entrambi compositori. Nel 1945 si trasferisce a Milano, dove studia presso il Conservatorio «Giuseppe Verdi» composizione con Giulio Cesare Paribeni e Giorgio Federico Ghedini, e direzione d’orchestra con Carlo Maria Giulini e Antonino Votto. Nel 1952 segue i corsi di Luigi Dallapiccola a Tanglewood, negli Stati Uniti. Fin dai primi anni Cinquanta Berio si afferma come una voce autorevole tra i giovani dell’avanguardia musicale. A questo periodo risalgono Cinque Variazioni (1952-53),Chamber Music (1953), Nones (1954), Serenata (1957). Nel dicembre del 1954, insieme a Bruno Maderna, costituisce presso la RAI di Milano il primo studio di musica elettronica italiana, inaugurato l’anno successivo con il nome di Studio di Fonologia Musicale. È in questa sede che ha modo di sperimentare nuove interazioni tra strumenti acustici e suoni prodotti elettronicamente (Momenti, 1957; Différences, 1958-59) ed esplorare soluzioni inedite nel rapporto suono-parola (Thema. Omaggio a Joyce, 1958; Visage, 1961). Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta l’interesse di Berio si focalizza ulteriormente sulla ricerca di nuove e complesse combinazioni timbriche (Tempi concertati per 4 solisti e 4 orchestre, 1959; Sincronie per quartetto d’archi, 1964). La ricerca sulle risorse espressive della vocalità femminile – sollecitata dalla voce di Cathy Berberian – procede con Epifanie (1959-60, poi confluito in Epiphanies del 1991-92), Circles (1960) e Sequenza III per voce (1965). La concezione drammaturgica implicita in queste opere vocali si precisa e affina nei primi lavori realizzati per il teatro, quali Allez-Hop (1959, da Calvino), Passaggio (1962) e Laborintus II (1965), entrambi su testo di Sanguineti.
L’indagine sulle potenzialità idiomatiche dei singoli strumenti dà avvio nel 1958, con Sequenza I per flauto, alla serie delle 14 Sequenze per strumenti solisti (l’ultima, del 2002-03, è per violoncello). L’insieme di questi brani solistici e dei relativi Chemins – elaborazioni per insieme strumentale di alcune Sequenze – evidenzia il peculiare carattere di “work in progress” del comporre di Luciano Berio, inteso potenzialmente come un incessante processo di commento e di elaborazione che prosegue e prolifera da un pezzo all’altro.
La ricerca musicale di Berio si caratterizza per l’equilibrio raggiunto tra una forte consapevolezza della tradizione ed una propensione alla sperimentazione di nuove forme della comunicazione musicale. Luciano Berio si è spento a Roma il 27 maggio del 2003. Nella sua ultima opera, Stanze (2003, per baritono, tre cori maschili e orchestra, su testi di Celan, Caproni, Sanguineti, Brendel e Pagis) l’autore dà voce a un’ultima intima sintesi della propria poetica.
biografia parziale, tratta dal sito del “Centro di studi Luciano Berio”
[/aside]