di Monika Prusak
Una chiusura straordinaria per gli appassionati di musica contemporanea nella sua espressione più alta, quella del Segesta Teatro Festival svoltosi al Teatro Antico, nella cornice mozzafiato del Parco Archeologico di Segesta.
La rassegna, sotto la nuova direzione artistica del regista e autore teatrale Claudio Collovà, ha presentato tra il 2 agosto e il 4 settembre numerosi spettacoli di teatro, musica e danza nonché alcune prime nazionali, seminari, workshop e incontri. La performance ha concluso anche una intensa masterclass di composizione condotta da Salvatore Sciarrino, organizzata con la collaborazione del Conservatorio di Musica “Alessandro Scarlatti” di Palermo. Infinito nero, interpretato dall’mdi ensemble, Livia Rado, Giulia Gaudenzi e Francesca Pinna, nella regia di Davide Santi, è stato introdotto da due composizioni: una trascrizione della Canzone del Principe di Carlo Gesualdo da Venosa e la Canzona di Ringraziamento di Salvatore Sciarrino. La produzione dello spettacolo è di Associazione musicAdesso.
«L’anima si trasformava nel sangue, tanto da non intendere poi altro che sangue, non vedere altro che sangue, non gustare altro che sangue…». Infinito nero. Estasi in un atto per voce e otto esecutori (1998) si colloca «al limite della patologia del silenzio» come un «esercizio di riflessione e concentrazione» – ha spiegato il compositore in una breve introduzione alla performance – ed «è un testo teatrale ma allo stesso tempo concertistico».
La composizione introduce lo spettatore nei mistici deliri di una monaca fiorentina, santa Maria Maddalena de’ Pazzi, che durante i momenti estatici correva lungo i corridoi del monastero alternando silenzi a un flusso veloce di parole, spesso incomprensibili, seguita da otto monache, che a turno le ripetevano e le trascrivevano. Da sillabe indistinguibili quasi fossero scioglilingua informe sino alla regressione infantile della protagonista mentre intona il Girotondo, l’Infinito nero presenta un percorso interiore amplificato dalla partecipazione degli otto strumenti, che ne esaltano il senso mistico e allo stesso tempo fisico e carnale. Il sangue di Cristo offusca ogni ragione per portare a una crisi estatica che ora si accende, ora si spegne, fino a esaurirsi nelle parole colme di speranza “tu sei senza fine, ma io vorrei veder in te qualche fine”.
Non si spiega del tutto l’abbinamento nel programma della Canzone del Principe di Gesualdo se non per la presenza di caratteristiche dissonanze e la vicinanza dell’epoca in cui ha vissuto la mistica carmelitana a quella del compositore rinascimentale. Tuttavia, la densità sonora del brano risulta eccessiva e non permette allo spettatore di entrare in uno stato di raccoglimento adeguato. La composizione, eseguita egregiamente dal mdi ensemble, lascia poi spazio alla Canzona di Ringraziamento dello stesso Sciarrino, interpretata dalla flautista Sonia Formenti in fondo al palcoscenico, che oltre a offrire un momento musicale di eccellente bravura e trasporto, ha avuto un impatto visivo non indifferente con in sottofondo uno dei tramonti più belli di quella parte dell’isola.
Infinito nero inizia, purtroppo, troppo presto, con il sole non del tutto tramontato; si perdono, infatti, i primi istanti in cui il suono rarefatto avrebbe giovato di un buio più consistente. Lo stesso vale per le lampade a fluorescenza progettate da Paolo Casati, che fungono da candele, a tratti troppo presenti, ma nell’insieme ben inserite nel contesto. Di Maria Maddalena sentiamo inizialmente il respiro, amplificato dal flauto che lavora con la sola testata, ed è a sua volta amplificato dall’impianto di Paolo Brandi. Prima il flauto e successivamente gli altri strumenti riprendono i suoni fisiologici dell’ancella: la respirazione, il battito, seguendola nei passaggi estatici, che spaziano dall’acuto al grave con un’intensità sempre crescente. L’uso di uno strumento a fiato che interagisce con la protagonista in preda alla follia non è un espediente nuovo, ma in questo caso il flauto e gli altri strumenti non si limitano a seguire la voce, bensì diventano tutt’uno con la fisiologia della cantante. Livia Rado si sposta rimanendo ferma al raggiungimento di ogni nuova posizione, quasi sempre di profilo, per infine alzarsi in piedi nel momento culmine. La sua vocalità segue la complessa partitura sciarriniana con grande efficacia, varia nel colore e nell’emissione, più nasale e impostata nei registri acuti e più gutturale e parlata nel registro grave. Le ancelle la seguono fedelmente, mostrando stupore e annotando le parole articolate. Si nota, anche, un gioco delle lampade con le quali le carmelitane formano un triangolo simbolico. Il mdi ensemble presenta un affiatamento superbo: lo si avverte quasi fisicamente.
Alla bellezza dell’esecuzione si aggiunge l’impostazione scenica, che colloca gli strumenti a fiato e gli archi come due lati di un triangolo, chiuso dal lato degli spettatori dalle tre ancelle, con il pianoforte e le percussioni alle estremità laterali. L’ensemble, che collabora con il compositore siciliano da diverso tempo, esegue la sua scrittura con notevole sicurezza. Le rigorose indicazioni della partitura diventano un gioco che unisce «impulsi cortissimi e vibrazioni sonore» che «spesso oscillano tra soffio, suono, fruscio», rendendo unico il senso di una casualità organizzata nei minimi dettagli.