di Stefano Cascioli


L’album targato Navona Records propone l’integrale di Beethoven per pianoforte e orchestra. Non solo i cinque concerti solistici quindi, ma anche il triplo, la fantasia corale e il “sesto” concerto, ossia la trascrizione, originale, del concerto per violino op. 61. Protagonisti di questo corpus sono Eliane Rodrigues, pianista brasiliana già premiata ai concorsi Van Cliburn e Regina Elisabetta, e l’orchestra sinfonica statale di San Pietroburgo, diretta da Walter Proost.

Nel complesso, si ha la sensazione di un ascolto cupo, velato di una luce soffusa, in cui le tinte scure vengono messe in particolare rilievo, sia da parte dell’orchestra (si noti l’opacità dei legni) che da parte del pianoforte. Ne emerge una lettura piuttosto meditativa, mesta e pensierosa, che in certi tratti è molto affascinante, soprattutto nei tempi lenti, ma che a volte appesantisce quelle parti giocose che di certo nel primo Beethoven non mancano. Il suono è sempre molto controllato e uniforme, e i tempi sono tendenzialmente standardizzati, motivo per cui l’ascolto scorre con piacevolezza, ma senza particolari suggestioni.

Paradossalmente, dal punto di vista pianistico i risultati migliori si hanno nei concerti giovanili. Rodrigues, sempre molto elegante nel fraseggio e nella cura del suono, sfodera un’ottima tecnica digitale, che si esalta nella scrittura cristallina e ancora influenzata dal modello mozartiano dei primi due concerti (qui giustamente proposti in ordine invertito. Il secondo op. 19 è stato eseguito da Beethoven prima dell’op. 15, ma, rivisitato più volte, venne dato alle stampe successivamente). L’approccio alla tastiera della pianista brasiliana è molto cordiale, motivo per cui la scrittura massiccia tipica del Beethoven maturo non viene resa con particolare incisività, specialmente nel quinto, dove il pianismo è talmente robusto da assumere tratti eroici. Potrebbe essere una scelta stilistica di carattere storico, che mira a riprodurre le sonorità ovattate del fortepiano, però in alcuni punti si sente l’esigenza di un climax maggiormente enfatizzato, così come nei Rondò certi accenti presenti in partitura vengono romanticamente ammorbiditi, affievolendo quell’ironia, tragicomica del Terzo e rustica del Secondo, che raramente viene messa in risalto.

Il concerto che presenta gli spunti interpretativi più interessanti è il “sesto”, opera che meriterebbe maggior spazio nei cartelloni delle stagioni sinfoniche, così come nelle sale di registrazione. Dopo la celebre istanza di Barenboim per DG del 1974, pochi pianisti si sono cimentati in questa dignitosissima trascrizione, destinata ancora ad una nicchia ristretta. Nella lettura di Rodrigues e Proost colpisce lo stacco del Rondò, leggermente più lento del consueto, ma così grazioso ed espressivo. Inoltre, il bilanciamento tra orchestra e solista, in questo caso, ci sembra ottimale.

L’orchestra russa segue con diligenza la solista, accompagnandola sempre con garbo. La parte migliore è senza dubbio la lunga introduzione del quarto, caratterizzata da quella grazia nostalgica che non sempre viene resa con la giusta trasparenza. Interessante la scelta di partire spediti nel concerto per violino trascritto, peccato che quando entra il pianoforte si ferma tutto lo slancio iniziale, adeguando il metronomo ai valori tradizionali. Buona la prova del coro dell’istituto di cultura di San Pietroburgo nella Fantasia, convincenti pure Chingiz Osmanov al violino e Luc Tooten al violoncello nel Triplo concerto, anche se alcune imperfezioni d’intonazione del violoncello, in studio, si potevano evitare.

Pubblicato il 2018-09-02 Scritto da StefanoCascioli

Stefano Cascioli

Stefano Cascioli

Laureato in violino (109) e composizione (110 e lode) presso il Conservatorio di Udine, si specializza in pianoforte a Trieste, conseguendo la laurea di secondo livello col massimo dei voti e lode. Premiato in numerosi concorsi nazionali ed internazionali, sotto la guida di Luisa Scattarregia prima e Massimo Gon poi, ha partecipato a numerose masterclasses con i maestri Andrea Carcano, Massimo Gon, Aldo Ciccolini e Paul Badura-Skoda, inoltre ha seguito nel 2014 i corsi tenuti da Robert Levin presso il Mozarteum di Salisburgo. Per il violino, deve la sua formazione ai maestri Annalisa Clemente, Helfried Fister, Stefano Furini e a Diana Mustea, con cui si è laureato. Parallelamente, si è dedicato allo studio del violino barocco e della prassi esecutiva filologica, seguendo i corsi tenuti da Enrico Onofri, Elisa Citterio ed Enrico Gatti.

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