di Stefano Cascioli
I Solisti della Scala, diretti da Andrea Vitello, sono i protagonisti di questa novità discografica, curata da Warner Classics, e dedicata in toto all’ottetto di fiati. Formazione cameristica moderna, poiché utilizzata per la prima volta appena da Stravinsky nel 1923, che però non ha trovato uno sviluppo significativo nel repertorio d’avanguardia. Nella presente istanza, per sopperire a questa grave mancanza, alla storica opera stravinskiana vengono affiancati ottetti molto recenti, scritti appena nell’ultimo decennio da Peter Eötvös, Alessio Elia, Albertas Navickas e Rita Ueda. Compositori di epoche e stili differenti, quindi, ma accomunati dalla fascinosa idea di rimodernare un ensemble che, dopo il capolavoro neoclassico di Stravinsky, non si è rinnovato a sufficienza. Nonostante il minutaggio sia simile per tutti i brani, la varietà di stili e di ricerca estetica e un sapiente accostamento dei brani favoriscono un ascolto molto allettante e per nulla monotono.
L’esecuzione dell’ottetto stravinskiano eccelle per una chiarezza che raramente si è sentita nelle registrazioni del passato. Sicuramente le migliori tecniche di registrazione e le innovazioni tecnologiche apportate sugli strumenti hanno permesso di migliorare le qualità esecutive nel tempo, ma il merito va dato soprattutto all’ensemble scaligero, che brilla per qualità di suono, pulizia d’intonazione e varietà nell’articolazione, e a Vitello, raffinato concertatore, molto attento alla gestione dei piani sonori, alla precisione delle sottili polifonie e alle variazioni agogiche, sempre delicate in Stravinsky.
L’ottetto che segue, scritto da Eötvös, è un homage a Stockhausen. Non tanto dal punto di vista compositivo (non sembrano esserci riferimenti chiari all’estetica del visionario compositore tedesco), quanto dal punto di vista simbolico, se non altro per lo stretto legame tra opera e numerologìa che ruota attorno al numero otto, tanto caro a Stockhausen. La scrittura di Eötvös è molto frammentaria, teatrale nei gesti e aspra nelle sonorità, unita però da una sottile linea polifonica che tiene unite le varie cellule musicali. Violento a tratti, ma incisivo nel risultato.
Segue, in totale antitesi con l’opera del compositore ungherese, l’ottetto di Alessio Elia. Scrittura molto singolare, rappresenta un unicum nel panorama compositivo dei nostri tempi, ed è caratterizzata dall’unione di diversi moduli ritmici, articolazioni e temperamenti, secondo un procedimento definito dal compositore stesso “polisistemismo”. L’opera è formata da due movimenti molto diversi l’uno dall’altro. Mentre il primo è un flusso continuo di note e ritmi, il secondo inizia con un mesto intervallo di quarta che, con poetica melodica ed espressiva, si amplifica progressivamente, per esplodere in un finale incalzante, la cui insistenza ritmica ricorda, seppur con sfumature timbriche ben diverse, il Finale dell’ottetto stravinskiano. Nonostante la complessità di scrittura, l’opera funziona, trascina l’ascolto, perché ben strutturata. Elia, infatti, dimostra grande padronanza della forma e della gestione del materiale sonoro.
In By heart, Albertas Navickas pone l’attenzione sulla genesi del suono. In particolare si avverte l’interazione tra il suono della voce umana, il suono determinato e il suono soffiato, in tutte le sue sfumature effettistiche. L’ottima qualità della registrazione mette in risalto anche le minime sfumature del soffio, inteso come respiro, ma anche come matrice sonora.
Meno interessante, invece, l’ottetto che chiude l’album. Gargoyles in love, recentissima opera di Rita Ueda, è un brano che cerca di rappresentare in musica le mostruose creature raffigurate nelle facciate delle cattedrali gotiche, focalizzando la timbrica su sonorità aggressive e sguaiate. L’idea è interessante, ma il brano stenta a prendere una direzione precisa, motivo per cui l’ascolto rimane puramente immaginifico.
Pubblicato il 2018-10-10 Scritto da StefanoCascioli