Al Teatro Massimo di Palermo è andata in scena l’opera di Berlioz. Il regista Terry Gilliam ha ambientato la vicenda nel Terzo Reich
di Monika Prusak
Spero proprio che la gente venga all’inferno con me e, credetemi, l’inferno è un posto fantastico!*
Terry Gilliam
Terry Gilliam, regista statunitense naturalizzato britannico, ha portato al Teatro Massimo di Palermo la sua prima regia operistica, già acclamata dai principali giornali britannici come «un’opera d’arte imperdibile» («The Guardian»), «una magica messa in scena» («Financial Times») o «diabolicamente un buon debutto» («The Independent»). La damnation de Faust di Hector Berlioz, realizzata in coproduzione con la English National Opera e la Vlaamse Opera, non è la prima sfida di Gilliam con Mefistofele. Il regista ammette che gli «piacerebbe molto essere questo personaggio», perché lo ispira a pensare ai «mille modi possibili per giocare con il pubblico e manipolarlo»*. E questa regia si spinge al limite tra fantasia e realtà, mescolando i due mondi fino a ottenere un risultato omogeneo e sorprendente, soprattutto dal punto di vista della realizzazione scenica.
Berlioz componendo la sua Damnation come una légende dramatique per soli, coro e orchestra, non aveva previsto la rappresentazione teatrale, infatti l’opera è costruita su una serie di immagini non legate da una narrazione consequenziale. Rappresentata per la prima volta nel 1846 all’Opera-Comique di Parigi, già nel 1893 aveva ispirato Raoul Gunsbourg a metterla in scena con notevole successo. Argomento amato nell’800, Faust di Goethe, ha da sempre attirato lo spettatore. In effetti, il tema del patto con il diavolo in cambio della felicità o dell’eterna giovinezza incuriosisce anche oggi, anche se sembra ormai aver perso il suo significato più profondo. Berlioz, che insieme a Almire Gandonnière e Gerard de Nerval ha firmato di proprio pugno una parte del libretto, decise di condannare Faust all’inferno senza il perdono di Marguerite.
Alla notizia della deportazione dell’amata Faust perde la ragione e in quel momento Méphistophélès gli propone il patto che lo condannerà all’inferno
Terry Gilliam segue il libretto di Berlioz alla lettera ambientando, tuttavia, l’azione non più nella Germania dell’800, bensì nel Terzo Reich di Adolf Hitler. Il nazismo è uno dei temi preferiti degli sketch del britannico “Circo volante dei Monty Python”, di cui Gilliam ha fatto parte come regista e attore. La fantasia romantica di Goethe si mescola alla cruda realtà della Seconda Guerra Mondiale e della persecuzione degli ebrei, tra cui Marguerite. È incredibile come il libretto originale si inserisca bene nella visione di Gilliam; basta ricordare la Ballata del topo, cantata da Brander – soldato tedesco interpretato da Enrico Iori – nella quale l’animale avvelenato si rifugia in un forno per essere poi “arrostito” vivo. «Requiescat in pace» canta il coro proseguendo in una monumentale fuga sulla parola Amen.
Prima dell’entrata di Méphistophélès, che introduce lo spettacolo in un monologo parlato, il pubblico viene accolto con la gigantografia dell’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci proiettato sul sipario. La perfezione del corpo umano rievoca il concetto del superuomo di Friedrich Nietzsche, legandosi allo stesso tempo alla “perfezione” delle figure geometriche del cerchio e del quadrato. La scenografia iniziale rappresenta un paesaggio roccioso in fondo al palcoscenico ispirato al quadro Viandante sul mare di nebbia (1810) di Caspar David Friedrich e alle illustrazioni di Gustave Doré per il Paradiso perduto di Milton, specialmente nelle scene in cui Satana osserva Adamo ed Eva dalla cima di una montagna. C’è anche il “viandante” che dà le spalle al pubblico, esattamente come nel lavoro di Friedrich, con indosso, tuttavia, una divisa militare. Vi è, infatti, un breve inserto bellico, in cui diverse bandiere spartiscono tra loro l’Europa. È una scena allo stesso tempo divertente e tragica per il curioso modo di camminare dei generali da una parte – un riflesso del Ministero delle camminate beote dei Monty Python – e per il documentario di guerra proiettato sullo schermo a margine della scena dall’altra. La Marche Hongroise in sottofondo alle scene di guerra produce un effetto particolarmente sorprendente. Faust impersonato da Gianluca Terranova ha un carattere decadente dalla voce calda e nostalgica. Con capelli rossi e “occhialino” somiglia a un Harry Potter adulto in cerca di una felicità che non riesce a raggiungere, sospeso tra la sua adorata solitudine e la passione per gli straordinari poteri della natura, alla quale dedicherà l’invocazione Nature immense. Ritorna dunque il tema della perfezione, l’aspirazione massima del protagonista che, stanco di inseguirla, prende la decisione di suicidarsi.
È ben diverso il Méphistophélès di Lucio Gallo, la cui sicurezza si avverte dalla prima entrata in scena fino alla chiusura dell’opera per la voce scura e imponente che fa da contrasto a quella di Faust. Méphistophélès conduce Faust nella taverna dei nazisti, che ubriachi si divertono nel torturare e uccidere gli ebrei. Qui il diavolo canta la sua aria Voici des roses dal tono quasi arcaico per i numerosi unisono con gli strumenti a fiato, mentre Faust cullato dalle Silfidi sogna la sua Marguerite. La scena si sposta tra i soldati e gli studenti che cantano, come gli atleti delle Olimpiadi di Berlino nelle immagini di apertura dei giochi del 1936 proiettate in fondo al palco. «La Germania è adesso pronta» annuncia lo slogan posto accanto a una svastica racchiusa in un cerchio e in una cornice rettangolare rossa: il segno adottato dai nazisti aspira alla perfezione come l’Uomo vitruviano di Leonardo. Faust e Marguerite si incontrano dopo la Canzone del re di Thule, cantata magnificamente da Anke Vondung nei panni della protagonista, ma possono concedersi solo un breve duetto amoroso, perché le SS deportano la ragazza con gli altri ebrei. L’aria successiva, D’amour l’ardente flamme, svela la voce calda e suggestiva della Vondung, dotata di un’importante presenza scenica.
Alla notizia della deportazione dell’amata Faust perde la ragione e in quel momento Méphistophélès gli propone il patto che lo condannerà all’inferno. I due iniziano la corsa in un sidecar di memoria nazista; Faust indossa un’armatura da Sigfried wagneriano che ne risalta solamente la comicità. La Corsa dell’abisso, resa magnificamente dalla musica di Berlioz, diventa in Gilliam una scena davvero spettacolare: il sidecar è inseguito da un gruppo di dannati vestiti di nero e preceduto da uno spirito con una semplice croce in mano. Insieme creano una sorta di processione, la cui velocità è ottenuta grazie al movimento degli alberi-ologramma. Faust è impaurito da «quello stormo di uccellacci notturni» che si materializzano nei bombardieri tedeschi. Non cambiando la scena per tutta la durata della corsa Gilliam riesce a esaltare la musica, che nelle scene precedenti scendeva a tratti in secondo piano. Roberto Abbado guida l’Orchestra del Teatro Massimo con maestria ed eleganza, chiaro e puntuale nella direzione dei solisti e del coro. Ed ecco che il sidecar arriva nel Pandaemonium, il regno assoluto di Méphistophélès, risuonante di canti di gloria per il trionfo del diavolo: questa scena riporta alla memoria l’inferno di Milton. In un abisso di luci accese e fumo il “viandante” in cima alla montagna si mostra al pubblico imitando la gestualità collerica di Hitler. Faust è un dannato, con la camicia di forza, crocifisso a testa in giù sulla svastica, mentre l’Uomo vitruviano si capovolge. Allo stesso tempo nel campo di concentramento l’anima di Marguerite viene salvata tra cori celesti.
La regia di Gilliam è forte e grottesca allo stesso tempo, ricca di humour inglese: la crudeltà del nazismo appare riflessa in uno specchio ironico. È un tipo di umorismo per certi versi simile a quello pirandelliano, ove sotto l’audace ironia si nasconde una realtà opposta, profondamente drammatica. Le visioni di Gilliam sono perfezionate dall’opera di affermati artisti inglesi come la costumista Katrina Lindsay, l’esperto delle luci Peter Mumford e la coreografa Leah Hausman. Il regista vuole manipolare, «far ridere il pubblico e togliergli la terra da sotto i piedi»*. E il pubblico ne rimane soddisfatto, soprattutto quello giovane, che riconosce in questa regia parossistica lo spirito provocatorio di un artista visionario.
* Intervista a Terry Gilliam di Edward Seckerson
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It was an unforgettable opera night on the 22nd January 2012 in the beautiful Teatro Massimo in Palermo, with all of those honoured, great artists: Direktor Terry Gilliam, conductor Maestro Roberto Abbado and the fantastic singers: first of all, Tenor Gianluca Terranova as Faust, Bariton Lucio Gallo as Mephistopheles and Soprano Anke Vondung as Marguerite! We are still under its impression, magnificent and splendid!