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Il pianista in concerto a Bolzano con le Années de Pèlerinage: fuoco e gentilezza. Ma anche un doppio inizio a causa del disturbo arrecato dai fotografi
di Cecilia Malatesta
L ouis Lortie è un animo gentile, capace di grande delicatezza ma anche di grande fuoco, quando gli accordi iniziali della Chapelle de Guillaume Tell investono la sala del Commissariato del Governo di Bolzano con un attacco sublime e perfetto e quando, a pochi istanti dall’inizio, nel momento in cui la melodia si apre e si fa liricamente riconoscibile, salta giù dal panchetto e corre verso la porta inveendo contro i fotografi dei cui flash non era stato avvisato. Il pubblico, congelato, lo riaccompagna allo Steinway con un timido e scioccato applauso: riattaccano gli accordi, ma adesso sono tutt’altra cosa, quasi irriconoscibili e infinitamente meno intensi dopo la perdita di pathos. L’inquietudine corre tra palco e pubblico, ma in capo al secondo brano Lortie è in grado di ricreare quella magia iniziale che ha fatto trasalire il pubblico bolzanino.
Programma repentinamente ridotto rispetto a quanto precedentemente dichiarato, ossia l’integrale delle Années de Pèlerinage che l’anno scorso il pianista franco-canadese ha portato in tournée nelle maggiori sale da concerto per omaggiare il bicentenario della nascita di Franz Liszt. Le oltre tre ore di musica, inaffrontabili in un occasione quale quella della sera del 6 settembre, alla quale erano presenti non solo gli appassionati del pianismo ottocentesco, ma anche un buon numero di autorità, sono state ridotte ad una scelta dai tre quaderni che il pianista ungherese compose lungo tutta la vita. Una cernita, quella compiuta da Lortie, che propone brani tra i più belli, non scontentando le aspettative del pubblico più esigente e dando prova non solo del virtuosismo – un’esecuzione perfetta – ma soprattutto della sensibilità, della profondità nell’approccio e, non da meno, della ricchezza di suono di cui quest’interprete è capace.
È un viaggio da nord a sud che si apre col quaderno svizzero nei cui paesaggi siamo trasportati dalle dita che saltellano delicatissime sulla tastiera della Pastorale, dalle perle di Au bord d’une source che rotolano nelle orecchie e giù in gola, della celeberrima Vallée d’Obermann che chiude con un volume di suono quasi impossibile da concepire con una tale morbidezza. Lortie è gentile anche nella potenza lisztiana. Della Troisième année solo due brani, ma di grande fascino e tratteggiati meravigliosamente, nella scura ombrosità dei cipressi di Villa d’Este (II: Thrénodie) e nel gioco musicale e barocco dei Jeux d’eaux. Dopo la pausa, l’integrale del quaderno italiano, dove la descrizione naturalistica lascia il posto a reminiscenze artistiche e letterarie, dai frammenti cantabili ed espressivi – mai troppo trattenuti e sospirati – dei Sonetti del Petrarca, alla funerea immobilità del Penseroso, alla drammaticità policroma della Dante Sonata che chiude con un boato da cuore in gola e scatena l’entusiasmo della sala.
Dopo svariate uscite, Lortie regala la buona notte con la Gondoliera, dall’aggiunta al secondo quaderno, omaggio alla canzone popolare veneziana. Si esce storditi dai marmi e dal porfido rosso, con la convinzione che non vi sia altro modo per ascoltare Liszt se non quello di avere un Gran Coda a pochi passi e un interprete in grado di far godere l’orecchio per ogni armonico, ogni impercettibile pianissimo e ogni frustata delle corde che esce dalla cassa, entra in testa e prende la pancia. E sapendo che le parole, fortunatamente, quasi niente potranno restituire di una tale ineffabile esperienza.
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