[wide]

[/wide]
Recensione • Le suggestioni della terra, la sobrietà e la compostezza del direttore olandese illuminano il programma straussiano e brahmsiano alla Philharmonie im Gasteig di Monaco di Baviera
di Riccardo Rocca
A nziano gentiluomo olandese, Bernard Haitink torna sul podio del Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks, compagine alla quale è legato da un’illustre e lunga collaborazione. Il lavoro di Haitink con l’orchestra, va subito detto, è eccellente: costantemente allenata dall’attuale mentore Mariss Jansons, plasmata poche settimane fa dall’illuminata bacchetta di Rattle, essa declina le proprie peculiarità sonore – preziose e nitide – al volere di un maestro che fa del riserbo e dell’austerità le proprie cifre stilistiche. L’approccio apollineo e marmoreo di Haitink, essenziale ma grandioso al bisogno, è la cifra di una personalità interpretativa originale e tanto interessante in un tempo, come quello attuale, in cui il dionisismo kleiberiano sembra andare più di moda. Haitink è un uomo della terra, composto e misurato e, certamente, talora apparentemente distante. Proprio una certa distanza è sembrata annullare i vividi effetti del Don Chisciotte straussiano: un’esemplare chiarezza dimostrativa dell’orchestrazione e delle strutture variative del brano sono andate a scapito dell’ironia e della profondità di un personaggio che Strauss tratteggia con mille risorse e sfumature. Di valore, ma anch’essi attutiti da una generale freddezza, sono stati i contributi solistici di Maximilian Hornung al violoncello e di Hermann Menninghaus alla viola.
Tutta un’altra storia, invece, la Prima di Brahms che ha riempito la seconda parte del programma. Se troppo spesso il sinfonismo brahmsiano soffre di un complesso di dipendenza e sudditanza rispetto al modello beethoveniano, Haitink affronta il problema guardando Brahms dal futuro: dunque nessun indugio ruffiano, nessun tentativo di brillantezza e titanica vitalità che in Brahms, se alluse, vengono costantemente deluse. Haitink fa anche qui del distacco e di una salda sobrietà i centri della propria visione, ma qui la musica – diversamente da Strauss – sembra prendere una vitalità inaspettata e sorprendente. Tutto ciò che in Brahms normamente è commento, parafrasi, tentativo irrisolto di un beethovenismo collassato nella sostanziale assenza di un temperamento teatrale, assume con Haitink una propria autonoma forza tellurica e una compiuta identità espressiva. Haitink dimostra l’appartenenza di Brahms alla terra e non al mare e con quei gesti imponenti ma eleganti e sicuri ne dispiega tutta la bellezza. Dunque non un Brahms che cerca invano Beethoven quello di Haitink, ma un Brahms che commuove con la propria convinta, meditata e personale rilettura del modello. Semmai un Brahms molto più vicino al riserbo schubertiano, i cui echi della “Grande” naturalmente non mancano. Si potrà dunque facilmente immaginare l’atmosfera in sala quando dagli archi nitidi e compatti dell’Orchestra Bavarese si è innalzato il tema corale del quarto movimento: Haitink ne ha distillato con pochi gesti ogni segreto e il senso dell’intera sinfonia è sembrato assumere suggestioni di rara e autentica bellezza, come la dedita venerazione del compositore di Amburgo nei confronti del sinfonismo classico e la profonda fiducia del gentiluomo di Amsterdam in una musica a lui così affine.
© Riproduzione riservata