[wide]
[/wide]
Recensione • Il melologo del compositore italiano in scena al Theater an der Wien; la Camerata Salzburg è stata diretta da Michael Hofstetter con la voce recitante di Ulrich Reinthaller
di Barbara Babic
R appresenta un chiaro sintomo della Wertherfieber (‘febbre da Werther’) il melologo del compositore e violinista Gaetano Pugnani, composto tra il 1791 e il 1792, nel periodo in cui in tutta Europa l’opera di Goethe I dolori del giovane Werther (tradotto in italiano già nel 1782 e al centro di un grande dibattito letterario anche a Torino, città d’origine del compositore) era diventata epicentro di una nuova estetica e di una nuova moda.
Sebbene Pugnani non sia un nome particolarmente noto (la sua celebrità è forse legata al fatto di essere stato maestro di Viotti e per essere associato all’opera di Fritz Kreisel, Preludio e Allegro nello stile di Pugnani, 1910), innegabile è l’importanza non solo di alcune sue composizioni (concerti per violino, musica da camera, opere) ma anche di questo Werther, che può vantare di due importanti primati. Si tratta infatti sia della prima messa in musica del capolavoro goethiano (poco prima della versione operistica di Mayr a cui seguirà nel 1887 quella ben più celebre di Massenet) che uno dei primi esempi di melologo (Melodram), che unisce al testo recitato, di norma un monologo, un copioso accompagnamento musicale.
Una forma che ben si confà al romanzo epistolare, in cui la musica non è mai puro ‘accompagnamento’ bensì tende ad esaltare il testo sia in maniera puntuale che attraverso vaghe allusioni sonore, alternandosi o sovrapponendosi ad esso. Peculiare lo stile di Pugnani che mischia la tradizione italiana con quella sinfonica mitteleuropea regalando numeri (l’opera, come il testo goethiano, è divisa in due parti, rispettivamente composte da 11 numeri musicali) assai suggestivi. Tra i tanti va ricordata la Sinfonia iniziale, la leggera melodia di Lotte al pianoforte (realizzata qui dall’intera compagine orchestrale), l’intermezzo bucolico che ritrae il paese di Wahlheim nella prima parte, il minuetto della scena del ballo; va però precisato che sono assai rari i momenti in cui il compositore riesce a rendere una certa drammaticità dell’azione, in particolare nella seconda parte ci aspetterebbero dei passaggi più tragici quando la trama si incupisce, tingendosi di morte.
La cifra fondamentale dell’opera è comunque rintracciabile nel dettagliato commento sonoro al testo, che raggiunge quasi la follia, come ricorda il compositore Felice Blangini in seguito alla prima rappresentazione dell’opera a Torino: «L’intenzione di Pugnani era quella di comporre una musica talmente imitativa, così che solamente con l’aiuto dell’orchestra le principali atmosfere del romanzo di Goethe potessero essere comprese. Quando l’opera fu terminata, il compositore la fece eseguire in casa sua davanti agli aristocratici e diplomatici torinesi. Pugnani era così teso e agitato, che si tolse la giacca. Ogni ascoltatore aveva ricevuto un programma di sala, che conteneva le situazioni che il musicista aveva messo in musica. La rappresentazione dell’opera lasciò una grande impressione nel pubblico. Anche se Pugnani si spinse troppo oltre. Nel momento in cui Werther si tolse la vita, egli prese una rivoltella e sparò nella stanza accanto. Alcuni si spaventarono di ciò, altri pensarono, che il violinista fosse diventato pazzo».
In seguito l’opera venne eseguita il 22 marzo 1796 al Burgtheater di Vienna – città che vanta una lunga tradizione legata al Melodram e nella quale è stata ritrovata nel 1940 la partitura che si dava per dispersa, la cui edizione è stata curata da Alberto Basso, con la revisione di Ruggero Magrini. La rappresentazione – nella sontuosa cornice del Theater an der Wien – è stata diretta dal drammaturgo Peter Back-Vega, che ha scelto di presentare il testo non in italiano, come vuole l’originale di Pugnani, ma in lingua tedesca. Non facile il compito affidato all’attore tedesco Ulrich Reinthaller, seduto per tutta la durata della rappresentazione ad una scrivania al centro del palco, che ha recitato con notevole maestria, declamando il testo con molte sfumature – di mimica, gestualità e voce – e risultando particolarmente intenso nel finale dell’opera.
Ottima anche l’esecuzione della Camerata Salzburg (meravigliosi soprattutto i legni e buona la prova del primo violino, che si è destreggiato in un lungo intermezzo solistico nella seconda parte dell’opera) diretta da Michael Hofstetter, dal gesto preciso ed energico, che ha saputo gestire bene gli equilibri e i volumi tra recitazione e musica. Lunghi gli applausi del pubblico, non numerosissimo, per un repertorio, quello del melologo, che si vorrebbe di certo vedere più frequentemente messo in scena.
© Riproduzione riservata
Werther Ricordo la splendida rappresentazione del “Werther” di Pugnani con la regia di Massimo Scaglione e la direzione d’orchestra di Enzo B. Ferraris. Protagonista Kim Rossi Stuart con Walter Santagata. A Pino Torinese, Teatro “Le Glicini – Settembre 1998