Recensione• A Torino con l’OSN Rai l’autorevole interprete ha diretto l’oratorio con chiarezza e nitore. Sul palcoscenico il Coro della Radio Svedese e il Coro Maghini. Solisti Bobro, Ovenden e Stiefermann
diAttilio Piovano
L’ultima volta, a Torino, sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai, l’aveva diretta Jeffrey Tate: era il gennaio del 2000. La scorsa settimana (giovedì 4 e venerdì 5 aprile) a guidare La Creazione, superbo e inarrivabile capolavoro di Haydn è stato chiamato il barocchista Hogwood. Scelta quanto mai opportuna, poiché a ben guardare, c’è ancora molto di barocco in questa sublime partitura che, pur inclinando già verso rococò stile galante, classicismo e oltre (per utilizzare abusate categorie estetiche fin troppo ingessate e rigide) tuttora seduce e coinvolge per la sua trasparenza, la sua bellezza davvero unica, e il candore delle immagini. Haydn – si sa – nei suoi soggiorni londinesi di fine ’700 aveva potuto avvicinarsi ai capolavori haendeliani che, assai impregnati di cultura corale anglosassone, verosimilmente lo avevano molto impressionato. Ed è proprio nelle pagine corali che Die Schöpfung rivela ancora le sue forti matrici barocche. A Torino, per l’occasione, ad affiancare l’OSN Rai sono stati convocati il Coro della Radio Svedese (istruito da Peter Dijkstra e Florian Benfer) ed il Coro Maghini (maestro del coro Claudio Chiavazza). E nei passi corali la serata ha raggiunto culmini di grande pienezza sonora e forte emozione: grazie a Hogwood, certo, e alla perfetta simbiosi che ha saputo creare tra doppia compagine corale e professori d’orchestra, rivelatisi estremamente docili al suo gesto chiaro e alla sua concertazione pulita, netta. Ammirevoli per chiarezza e nitore i vari passi fugati, giù giù sino al conclusivo e luminoso Sing dem Herren. Non meno rilevante la presenza di tre solisti d’eccezione, l’ottimo soprano Bernarda Bobro (che in Rai aveva debuttato nel 2009 con Beethoven tornandovi poi nel 2011 per la Quarta di Mahler), il non meno valido tenore Jeremy Ovenden e l’esperto baritono Kay Stiefermann dalla sicurezza invidiabile e dalla voce ben timbrata, impegnati a dar corpo a Gabriel, Uriel e Raphael, quindi, nella terza parte, alle presenze umane di Adamo ed Eva.
Che gioia ascoltare in un’esecuzione così palpitante l’intera galleria delle “immagini sonore” che papà Haydn seppe escogitare: mettendo in musica un libretto di innocente naïveté (quello del colto barone Gottfried van Swieten dal limpido sguardo ceruleo, così in un celebre ritratto) liberamente ispirato al Paradisoperduto di John Milton. Che gioia (ri)scoprire i mille dettagli di questa partitura di sopraffina e apodittica bellezza, nella quale Haydn seppe coniugare descrittivismo di matrice barocca con una visione d’insieme ammirevole per coerenza e afflato, di straordinaria intensità emotiva, in un mix assolutamente mirabile di razionalismo settecentesco e di profetiche anticipazioni rispetto all’ormai quasi imminente Romanticismo. Che gioia ripercorrere – partitura alla mano – l’intero percorso, dal caos primordiale sino alla beatitudine celeste dei primi abitatori, Adamo ed Eva. Pare che alla prima esecuzione, dopo il dilagare di figurazioni inquiete e disorganiche, quel do maggiore a lungo protratto e punteggiato di altisonanti squilli di trombe e rombare di timpani, a rendere il senso della prima luce sul mondo, abbia suscitato un vivace applauso a scena aperta. La tentazione di applaudire, anche ai giorni nostri, è fortissima: a stento ci si trattiene di fronte alla vis di tale gesto sonoro, riverbero della profonda fede di Haydn, non a caso testimoniata anche da altri capolavori sacri (come le Ultime sette parole di Cristo sulla croce). E poi quanti dettagli meravigliosi: sicché, nel dipanarsi del racconto, tra sciolti recitativi e squarci lirici, la terra inizia a pullulare di creature, gli uccelli, gli animali, ma anche albe e tramonti e fiori e – verrebbe da dire – quasi il sentore della fragranza della terra appena plasmata dal soffio divino. Tutte immagini che a contatto con la fantasia “vergine” del credente Haydn vengono come felicemente fecondate, ricevendone un rivestimento musicale a dir poco sublime. Giù giù sino all’apparizione della prima coppia e allora l’amore che li unisce, felice riflesso del Creatore.
Un’interpretazione davvero toccante e pienamente convincente, quella di Hogwood degli ottimi solisti e del doppio coro, nonché dell’OSN Rai in stato di grazia: a riprova che si può fare ottimamente musica settecentesca anche rinunciando agli sterili e talora troppo scarni ascetismi di certa sedicente filologia. La sera di venerdì 5, applausi convintissimi e a lungo protratti (del resto chi ha seguito la diretta radiofonica lo ha di certo percepito). Un altro celebre oratorio in programma a Torino questa settimana: il Messiah di Haendel giovedì 11 e venerdì 12 (con Ottavio Dantone, altro fuoriclasse). E ancora una volta di certo le emozioni saranno assicurate.
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