Compie oggi 80 anni il direttore d’orchestra. Il suo percorso artistico lo ha visto protagonista con ruoli autorevoli alla guida delle più importanti istituzioni musicali europee
di Corina Kolbe
Nel giardino di Claudio Abbado in Sardegna crescono in abbondanza bougainvillea di un colore viola intenso, e poi banani, palme, ibisco e agavi. È un labirinto naturale, percorribile su sentieri di legno sospesi tra cielo e terra e su scale che scendono a una piccola spiaggia affacciata su un vasto mare turchese. In questo piccolo paradiso il direttore d’orchestra che oggi compie ottant’anni cura le sue amate piante arrivate da tanti paesi, perfino in valigia dal lontano Brasile. È lì che un giorno ci incontriamo per una lunga conversazione nella quale parliamo dei suoi viaggi, dall’Europa ad altri continenti, e che spazia dalla musica alla poesia, al teatro e al cinema.
Abbado, acclamato sui podi in tutto il mondo, rifiuta l’appellativo “Maestro”. Il suo percorso artistico non gli sembra una “carriera” ma piuttosto un viaggio che dura una vita e che lo porta sempre a nuove scoperte. Nato a Milano il 26 giugno 1933 da un padre violinista e una madre pianista e autrice di libri d’infanzia, conobbe fin da piccolo il fascino della musica. «Sono cresciuto con i trii di Schubert, Brahms e Beethoven» racconta. Quando a sette anni entrò per la prima volta alla Scala, i Nocturnes di Debussy diretti da Antonio Guarnieri gli rivelarono una magia che anche lui un giorno avrebbe voluto ricreare.
A questo traguardo Claudio Abbado è arrivato con la passione e la disciplina. Dopo essersi diplomato in pianoforte, composizione e direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano, continuò a studiare a Vienna con Hans Swarowsky, entrando anche nel coro del Musikverein per trovare accesso alle prove con noti direttori dell’epoca, Bruno Walter, Josef Krips, George Szell o Herbert von Karajan. Nel 1958 vinse il premio Koussevitzky a Tanglewood negli Stati Uniti e cinque anni dopo il Premio Mitropoulos, cui seguirono inviti da orchestre rinomate come i Wiener e i Berliner Philharmoniker, dal Festival di Salisburgo e dalla Scala che nel 1968 lo nominò direttore musicale.
L’ideale del fare musica da camera Abbado l’ha sempre perseguito anche sul podio di grandi orchestre sinfoniche, a Milano, Londra, Chicago, Vienna o Berlino. «Ascoltarsi è la base principale» dice. «In un’orchestra di 100, 120 persone non è possibile che tutti abbiano le stesse idee. Bisogna cercare insieme quello che è meglio per la musica. Il compositore è sempre il capo». I musicisti raccontano di una comunicazione intensa senza molte parole, basata invece sugli sguardi e i gesti del direttore. Come il giardiniere che coltiva le sue piante, Abbado prende anche cura dei suoi musicisti, lasciandoli crescere sotto la sua osservazione attenta.
È una lezione che a tutt’oggi rimane impressa ai ragazzi che con Abbado suonavano nelle orchestre giovanili da lui fondate, la European Union Youth Orchestra e la Gustav Mahler Jugendorchester, che già ai tempi della Cortina di ferro univa giovani musicisti dall’Europa Orientale e Occidentale. Ne è nata una grande famiglia che si incontra anche nelle altre formazioni da lui create in seguito, dalla Mahler Chamber Orchestra e la Lucerne Festival Orchestra all’Orchestra Mozart.
Claudio Abbado ha varcato tante frontiere, geografiche ed ideali. Non è soltanto interprete sublime di Mozart, Beethoven, Mahler o Bruckner ma anche sostenitore della musica dei nostri tempi. Negli anni movimentati dopo il Sessantotto aprì la Scala ai lavoratori e studenti, cercando di interessarli soprattutto alla musica contemporanea che fece eseguire anche nelle fabbriche. Compagni in questa avventura, all’interno del progetto Musica/Realtà, furono tra i tanti il pianista Maurizio Pollini e il compositore Luigi Nono di cui diresse le prime esecuzioni assolute di molte opere, come Al gran sole carico d’amore o Prometeo.
Abbado, che si è scoperto discendente del re poeta arabo Al Mutamid ibn Abbad che nel primo medioevo governò Siviglia, da giovane studente a Milano frequentò le lezioni del celebre poeta Salvatore Quasimodo. Il suo desiderio di vedere la musica unita alle altre arti lo stimolò poi a fondare il festival Wien Modern mentre era direttore generale di musica nella capitale austriaca. Eletto direttore principale dei Berliner Philharmoniker appena un mese prima della caduta del Muro nel novembre 1989, trovò nella città riunita ricchi spunti culturali. Creò dei cicli a tema dedicati per esempio a Prometeo, Hölderlin, Faust o Amore e morte, gettando così nuovi ponti tra sale da concerto, teatri, musei e cinema.
Convinto che la musica debba essere accessibile al maggior numero possibile di persone, Abbado ha sostenuto varie iniziative sociali. «La musica è necessaria alla vita, può cambiarla, migliorarla e in alcuni casi può addirittura salvarla» dice. A Bologna la sua Orchestra Mozart nell’ambito del Progetto Papageno ha avviato un laboratorio corale per detenuti del Carcere della Dozza, mentre il Progetto Tamino che collabora con ospedali e altre strutture sanitarie coinvolge bambini malati o handicappati.
Dal Venezuela, dove Abbado ha lavorato per diversi anni con il “Sistema” di José Antonio Abreu, grazie a lui è arrivato in Italia il Coro de las Manos Blancas che dà a bambini sordi, muti e ciechi la possibilità di esprimersi con la musica. Con l’appoggio di Abbado è stata creata anche una variante italiana del sistema delle orchestre giovanili e infantili che si sta sviluppando nelle diverse regioni. E dopo i recenti terremoti a L’Aquila e in Emilia Romagna con le sue orchestre ha appoggiato la ricostruzione, destinando una parte delle raccolte di fondi alla cultura.
Così nella vita di Claudio Abbado un’umanità profondamente sentita si unisce a un instancabile spirito di ricerca che gli fa scoprire e riscoprire pagine di musica. «Non accetto limiti e cerco sempre cose nuove. Quando si pensa di sapere tutto la vita è già finita».
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