di Alberto Bosco
Per la prima di quest’anno il Teatro Real di Madrid ha scelto di autocelebrarsi riproponendo una sua storica produzione di Aida, datata 1998 e già ripresa nel 2018, ovvero l’allestimento curato per regìa, scene e costumi da Hugo de Ana.
L’operazione di ripescare dal proprio patrimonio produzioni particolarmente riuscite di titoli di repertorio dovrebbe servire al tempo stesso a dare al teatro una memoria e una identità oltre che a fare cassa con lavori che richiamano il grande pubblico. Lo stratagemma per giustificare la ripresa agli occhi del pubblico più esigente è poi quella di arricchire questi spettacoli con la presenza di solisti di primo piano. L’Aida, per esempio è stata replicata ben diciannove volte con almeno tre cast che cambiavano completamente a rotazione, cast in cui figuravano tra gli altri: Krassimira Stoyanova, Anna Netrebko, Roberta Mantegna (Aida), Jamie Barton, Sonia Ganassi, Ketevan Kemokelidze (Amneris), Piotr Beczala, Yusif Euvazov, Jorge de León (Radamès), Carlos Álvarez, Artur Rucinski, Gevorg Hakobyan (Amonasro). Anche alla direzione si sono alternati due grandi nomi: Nicola Luisotti e Daniel Oren.
Rispetto alla prima versione di vent’anni fa, allo spettacolo sono state aggiunte delle videoproiezioni che, pur saturando una messa in scena lussureggiante e già carica di ricercatezze visive, hanno circonfuso la vicenda di un alone sognante, rendendola più labile e meno realistica. Una felice intuizione scenica che ben si accoppiava all’impostazione di Luisotti che ha diretto sin dalle prime battute puntando ad effetti diafani, cavando raffinatezze di fraseggio e strumentazione laddove l’opera si infratta nelle pieghe intime del sentimento d’amore, creando così un polo predominante di contrasto con la spettacolarità esteriore dei rituali e delle parate belliche dello stato dei faraoni. In questo quadro si è inserita a pennello l’Aida di Anna Netrebko che ha esaltato con la sua duttilità vocale la dolcezza e gli arabeschi all’acuto della sua parte, mentre è parso fuori posto il tenore Jorge de León, un Radamés alquanto spinto e vocalmente un po’ grezzo al confronto. Da menzionare infine tra gli interpreti, Gevorg Hakobyan, nei panni di Amonasro, impetuoso e risoluto come vuole il personaggio. Nel complesso, dunque, uno spettacolo riuscito che in più occasioni ha messo in luce la natura fantastica ed immaginifica di questo celebre grand-opéra su sfondo egizio, un Egitto appunto fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.