Opera • La pagina di Britten in forma di concerto ha aperto la stagione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Stasera ultima replica | Intervista esclusiva a Gregory Kunde
di Ilaria Badino
SONO LE DUE TEMATICHE DELL’ALIENAZIONE SOCIALE e dell’immensa distesa della marina, nella sua duplice declinazione di refugium peccatorum e di scenario dove si scatena l’insondabile quanto tremendo «furor degli elementi», ad innervare il Peter Grimes dalla prima all’ultima nota. Avendo nutrito qualche perplessità sull’efficacia della resa in forma concertante s’era fatto un torto non solo al capolavoro britteniano, già perfettamente completo a livello musicale nella sua intensità evocativa di luoghi della natura e dell’anima, ma anche alle potenzialità della direzione di Pappano, inquietante nella sua ineffabile bellezza. Quell’allucinatoria luce bluastra che potrebbe essere propria del lampo così come di uno squallido neon da bettola e che pervade la partitura viene catturata, resa doma solo per un attimo e restituita in tutta la sua cruda veemenza per mezzo di un suono orchestrale energico e tagliente. Dai sei interludi marini quasi promana il salmastro: naturale, consolatorio, ma anche – nel caso del Grimes come opera e, soprattutto, di Grimes come essere umano – corrosivo. A compenetrare il magnifico lavoro del direttore anglo-italiano sull’Orchestra, troviamo un Coro in grande spolvero (un plauso a Ciro Visco): da pelle d’oca i «Peter Grimes» accusatòri gridati dal villaggio, di un vigore e di una precisione lancinanti.
Ancora una volta sorprendente Gregory Kunde nell’ennesimo, maturo debutto in un ruolo così lontano dalle sue radici belcantiste. La via percorsa per dare vita (e disperazione, e morte) al solitario pescatore del Suffolk s’innesta a metà tra gli indelebili solchi interpretativi consegnati alla storia da Peter Pears, creatore della parte e convinto sostenitore dell’innocenza di Grimes (colpevole soltanto della propria miseranda condizione umana), e da Jon Vickers, che in essa stillò nuove, eroiche forze. Scelta vincente d’indubbia intelligenza, dato che asseconda le rinnovate possibilità espressive della sua voce in conseguenza all’irrobustimento del registro mediano: così, alle usuali, innumerevoli sfumature con le quali ci aveva vezzeggiato in repertori più stilizzati e cantabili, s’aggiungono poderose impennate di volume nelle escandescenze d’ira e di sdegno. Il tutto all’insegna di un realismo che ispira comprensione ed immerge nell’empatia.
Di ottimo livello il resto del cast, pur se dai nomi poco altisonanti. Sally Matthews è un’Ellen Orford delicata e commovente, benché peso piuma; Alan Opie, quasi settantenne d’invidiabile forma, rende con piena dovizia le nuance di un personaggio cruciale, bello quanto terribile, quale il Capitano Balstrode; petulanti il giusto la Auntie di Susan Bickley e le due “Nipoti” Elena Xanthoudakis e Simona Mihai; molto bravo Michael Colvin negli irresistibili panni del tutt’altro che irreprensibile predicatore Robert Boles; eccellenti Matthew Best, Harry Nicoll, Roderick Williams e Darren Jeffery, rispettivamente Swallow, il Reverendo Horace Adams, Ned Keene e Hobson. Delude invece Dame Felicity Palmer, sebbene in una parte da caratterista come Mrs. Sedley ed in quanto tale giocabile fino ad una dignitosa esasperazione, causa una vocalità che è parsa irrimediabilmente compromessa da profonde fratture.
Grimes muore nell’indifferenza, il popolino torna all’ipocrita vita di tutti i giorni. Con l’affievolirsi delle luci sul palco, Pappano viene “liberato” dal titanico sforzo di tenere nelle proprie mani le riottose forze della natura e dell’umana cattiveria. Chi ha detto che un’opera in forma di concerto non possa essere perfettamente goduta attraverso la vista, oltre che dall’udito?
Peter Grimes | Roma, Auditorium “Parco della Musica” | Sala “Santa Cecilia”, 26 ottobre 2013
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