
Antica • L’ensemble Soqquadro Italiano contamina la musica del Seicento con atmosfere e gusti contemporanei
di Cecilia Malatesta
IL PIEDE TIENE IL TEMPO, a fatica si trattiene la gamba che saltella e il fianco che vorrebbe fluttuare liberamente al ritmo della chitarra barocca, terribilmente simile all’accompagnamento di una danza spagnola. Ballare sulla musica del Seicento è un’esperienza nuova, ma, del resto, ci sono i tamburi a cornice, c’è il cajon, il djembé, il salterio, il kazoo; e poi la tiorba di Simone Vallerotonda e il violoncello barocco di Ludovico Minasi, che, per ciò di cui è capace, ci si chiede se sia solo un violoncello o qualcosa di più. Who’s afraid of Baroque (in scena al Teatro Virginian di Arezzo) non è un concerto, ma uno spettacolo che mescola musica, canto e recitazione, cantate, passacaglie, ciaccone, poemi e canzoni popolari in un’operazione che nulla ha di autentico nella prassi, ma lo è fermamente nelle intenzioni. Il progetto di Claudio Borgianni non è infatti quello di snaturare il linguaggio nel tentativo di rendere più fruibile un repertorio di nicchia, ma di smembrare e rimescolare le trame compositive per far emergere e mettere in connessione gli elementi antichi con la nostra sensibilità. È pensare la musica per quello che era, come un mezzo e non un fine, un momento ludico che oggi troppo spesso si perde nella ricerca di un’esperienza estetizzante che si vuole sia solo alta e colta; è il volersi rivelare, invece, uno strumento per dirci qualcosa di ieri ma soprattutto di oggi, come ricorda il «Si salvi chi può» dal mondo alla rovina della cantata di Stradella.

La voce straordinaria di Vincenzo Capezzuto, dalla naturale tessitura di contralto, ricama fioriture di melodie barocche che acquistano impensabile modernità e si rotola nelle risa sguaiate e nelle battute da commediante dell’Arte, passando senza sforzo e in un ben calibrato continuum dalla declamazione di pometti napoletani ritmati dagli schiocchi delle dita, a note canzoncine fischiettate con infantile divertimento, ai virtuosismi vocali di un finale vorticoso, con La Canzone del Guarracino, dal ritmo serratissimo che beneficia ancora una volta delle sue capacità mimiche e attoriali. È tutto un muoversi in bilico su un sottilissimo crinale, un continuo spaesamento e un continuo ritrovarsi in atmosfere familiari, nelle sonorità del pop e dei ritmi jazzati e swingati delineati dai tre musicisti ottimi nei brani strumentali e che partecipano con convinzione alla drammaturgia – Marco Muzzati impegnato in un teatrale canto calabrese sul tamburo – in un complice dialogo improvvisativo e con i gesti di Capezzuto. Un susseguirsi ben orchestrato che non abbandona un attimo il pubblico entusiasta al quale regala due bis – e paiono pochi – e l’esempio di un prodotto di raffinata ricercatezza ma assoluta immediatezza e semplicità che funziona anche in un piccolo ed essenziale contesto, pur avendo probabilmente solo da guadagnare da una grande produzione. Suggerendo che questo sia uno dei modi più validi e necessari di fare musica antica, il Barocco di Soqquadro Italiano non fa paura, è finalmente un po’ più “nostro”.
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Soqquadro italiano | Festival I Grandi Appuntamenti della Musica | Arezzo, Teatro Virginian, venerdì 15 novembre
Bell’articolo, ben scritto. Anch’io ho assistito e recensito lo spettacolo, in senso al festival di Viterbo ( http://www.gbopera.it/2013/08/viterbo-soqquadro-italiano-who%E2%80%99s-afraid-of-baroque/ ): straordinariamente suggestivo!