Il pianista, con l’Orchestra sinfonica della Radio nazionale polacca diretta da Alexander Liebreich, ha eseguito il Primo concerto a Milano nell’ambito del festival MiTo
di Luca Chierici
SONO RIMASTI DAVVERO IN POCHI gli artisti capaci di comunicare emozioni così forti come è accaduto l’altra sera nel caso di Krystian Zimerman, interprete fantastico del Primo concerto di Brahms agli Arcimboldi per la rassegna di MiTo. Zimerman e la Argerich (che aveva suonato pochi giorni prima per lo stesso ciclo) sono due artisti molto diversi tra loro che hanno in comune un dominio eccezionale dello strumento, una padronanza assoluta della tastiera e una forza interiore sovrumana che si traduce in una straordinaria proiezione del suono in sale di qualsiasi dimensione. Una musicalità istintiva e sempre vincente in entrambi i casi permette loro di individuare una modalità di comunicazione capace di porre in sintonia, in risonanza le capacità percettive dello spettatore con i significati del testo. Con buona pace dei puristi, sostenitori di un approccio filologicamente più corretto, continuiamo ad apprezzare questo modo di suonare che ti scuote nel profondo a tante proposte asettiche che nascondono dietro al paravento della “ricerca” e della “meditazione” una sostanziale incapacità di centrare il bersaglio in quello che è pur sempre un momento di spettacolo, nel più alto grado di accezione del termine. Zimerman, la Argerich, Radu Lupu e pochi altri realizzano in altre parole quella misteriosa alchimia che trasforma il testo scritto in un elemento vivo, pulsante, sempre rinnovato nel tempo.
Viene spontaneo ricordare qui altre conquiste brahmsiane nel curriculum di Zimerman, poche delle quali effettivamente incise per conto della casa discografica del grande pianista. Quando aveva ancora la zazzera bionda (che di lì a poco verrà sbaciucchiata affettuosamente da Bernstein al termine di una famosa videoregistrazione dei concerti di Brahms) il giovane Krystian, fresco della vittoria al Concorso di Varsavia, aveva iniziato a esibirsi a Milano eseguendo spesso pagine pianistiche di Brahms con un ardore che abbiamo ritrovato tale e quale l’altra sera. La seconda sonata, al debutto alla Società del Quartetto, la terza qualche anno dopo in una proposta indimenticabile, e ancora le Ballate, i Klavierstücke op.118, per non parlare delle tre sonate per violino e pianoforte eseguite a fianco di Gidon Kremer, altro concerto leggendario in Conservatorio, hanno rappresentato momenti di straordinaria intensità per chi ha seguito fin dall’inizio la carriera di questo giovane talentuoso, che ricordiamo ancora con grande affetto nella sua immagine di ragazzino minuto, con la stessa espressione franca e la stessa modestia mostrata l’altra sera nello schivare gli applausi e nel porsi allo stesso livello dei professori d’orchestra e del direttore.
Con un bagaglio di esperienze che partono dalle già ricordate, memorabili esecuzioni a fianco di Lenny Bernstein, Zimerman poteva in questo concerto permettersi il lusso di muoversi ancora in completa libertà davanti a un testo sacro come l’opera 15, risultato di mille compromessi formali che il giovane Brahms piega pur sempre al solo fine espressivo. Una libertà e un impeto che per una volta hanno anche posto in secondo piano (per pochi istanti) la proverbiale infallibilità meccanica di un pianista dalle mani d’acciaio. Zimerman, terrorizzato dalle registrazioni pirata e oggi impotente di fronte al dilagare delle stesse attraverso la rete, aveva fatto leggere un comunicato in cui chiedeva umilmente agli spettatori di non riprendere la sua esecuzione (la sua, si badi bene, non quella del poco più che modesto direttore). Forse era perfettamente consapevole di non riuscire a garantire il controllo esatto del gesto nel momento in cui la responsabilità del Concerto risultava affidata esclusivamente a se stesso, ché Alexander Liebreich poco o nulla ha contribuito alla tenuta dell’insieme, peggiorando anzi in qualche caso la situazione. Certo non era facile seguire le fluttuazioni di tempo del pianista, pur potendo contare su uno strumento assai professionale come è l’Orchestra sinfonica della Radio nazionale polacca. Queste fluttuazioni ci sono del resto parse tanto naturali lungo il percorso del Concerto in re minore quanto insignificanti sono state quelle osservate dal direttore nella successiva lettura della prima Sinfonia, accettabile solamente nei momenti di maggiore aderenza alla tradizione.
L’entusiasmo coinvolgente del pianista avrebbe meritato un applauso liberatorio al termine del vasto primo movimento dell’opera 15. Ripetiamo qui ancora una volta che la consuetudine dell’applauso in quell’occasione è da sempre del tutto normale per il pubblico americano, che esprime giustamente il proprio entusiasmo quando l’eccezionalità del momento lo richiede. Ma qui da noi prevalgono come al solito le “buone maniere” nel contesto sbagliato, o peggio la fondamentale ignoranza della localizzazione di quelli che sono i vertici emozionali nel linguaggio musicale classico e del raggiungimento degli stessi da parte di un interprete ispirato.