
Sagra riminese, le proprie perle nei progetti collaterali: gli specialisti Bonizzoni, La Risonanza e Lo Monaco restituiscono all’ascolto la cantata-capolavoro «Donna, che in ciel di tanta luce splendi»
di Francesco Lora
LA SAGRA MUSICALE MALATESTIANA di Rimini è oggi nota soprattutto per l’ospitalità di grandi orchestre e grandi direttori: quest’anno, la Russian National Orchestra con Conrad van Alphen, il Gustav Mahler Jugendorchester con Christoph Eschenbach, la London Philharmonic Orchestra con Vladimir Jurowski, l’Orchestre National de France con Daniele Gatti e il Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin con Marek Janowski. Il pubblico plaude, la critica musicale viaggia, il programma di sala celebra: tuttavia, si tratta di compagini e bacchette intercettate durante le loro tournée, non di progetti originali concepiti a Rimini per procurare una specifica identità al festival. Al di là della grande parata sinfonica, il programma nasconde piuttosto le proprie perle nei progetti collaterali: ci si sposta dal Palacongressi a teatri e biblioteche, chiese e lapidari, e lì si ascoltano musiche inedite, interpreti nuovi, idee che non temono il doppione in altri cartelloni.
Talvolta queste perle sono fin troppo defilate: il concerto del 21 settembre, nella Chiesa di S. Agostino, si è aggiudicato una sola pagina del programma di sala, cioè quanto basta per elencare programma e interpreti, senza un’introduzione storica o un’edizione dei testi letterari. Ed è un peccato, perché soprattutto in un’occasione come questa si dovrebbe prendere la penna, divulgare, ripigliare un discorso tanto trascurato quanto prezioso. L’intenditore è richiamato soprattutto dall’esecuzione della cantata «Donna, che in ciel di tanta luce splendi» HWV 233: capolavoro giovanile e tra i massimi di Georg Friedrich Händel, oggi di ascolto rarissimo, fu eseguita per la prima volta a Roma, probabilmente il 2 febbraio 1707, per commemorare la miracolosa salvezza dell’Urbe nel terremoto dell’inverno 1702-03; dopo una pomposa ouverture alla francese, la voce del soprano rende grazie alla Madonna attraverso quattro recitativi (il secondo è accompagnato) e quattro arie (ben differenziate nel carattere l’una dall’altra; l’ultima prevede il folgorante ingresso dei ripieni, ossia di un intero coro a quattro voci).
Fabio Bonizzoni e il suo ensemble strumentale La Risonanza sono stati gli interpreti dell’esecuzione riminese: a loro si deve la più alacre indagine recente della produzione cantatistica di Händel, documentata da sette uscite discografiche, da numerosi concerti in Europa e ancora in corso di svolgimento (l’incisione di «Donna, che in ciel di tanta luce splendi», per esempio, non è ancora stata pubblicata). Spiacciono tre dettagli: che la sezione centrale della prima aria, coerente per tema e metro con quelle esterne, sia stato capricciosamente allentato e differenziato, forzando il naturale flusso del discorso musicale; che la realizzazione armonica del basso continuo al clavicembalo, nella seconda aria, abbia ceduto a un profluvio ornamentativo, il quale ostacola l’intonazione della voce cantante e contraddice la sua linea melodica spianata; e che la mano sinistra di Bonizzoni si sia spesso staccata dalla tastiera per dirigere gli strumentisti, togliendo al contrappunto la fondamentale parte del basso mentre quelle superiori erano puntualmente sviluppate.
Fatte salve le piccole riserve, la lettura ha goduto della luminosità timbrica, della nettezza gestuale e dell’ammirevole dedizione sin qui dimostrata da Bonizzoni e dai suoi. Si è loro affiancato il mezzosoprano José Maria Lo Monaco, contralteggiante per esigenze di carriera; qui un poco stirato nelle ascese al registro acuto e un poco affiochito nelle discese a quello grave; più genericamente affettuoso che studiatamente coturnato nel porgere; ma caldo nel timbro, energico nella coloratura e franco nell’espressione come non lo sarebbero le colleghe inglesi o tedesche. La supremazia della vocalità all’italiana traspare anche nel Coro “Costanzo Porta”, preparato con la consueta acribia da Antonio Greco: cosa bella a vedersi e intendersi, egli stesso unisce la voce a quella dei suoi tenori. Programma completato da una stilizzata esecuzione del Concerto grosso in Do minore op. 6 n. 3 di Arcangelo Corelli, e da una, tornita con olimpica eleganza, del Gloria in Re maggiore RV 589 di Antonio Vivaldi.