Il festival lettone con sede a Vilnus ha approfondito quest’anno la poetica dei tre compositori, ma il cartellone era ricco e vario con qualche tocco naïf
di Gianluigi Mattietti
IL FESTIVAL DI GAIA DI VILNUS è una delle più importanti rassegne di musica contemporanea nel nord Europa. Quest’anno era focalizzato sulla musica di tre compositori, Philip Glass, Heiner Goebbels e Hanna Kulenty, dopo una grandiosa apertura con Le Noir et l’Etoile di Gérard Grisey, affidata ai Percussionisti di Strasburgo. C’è una radicata tradizione “minimal” in Lituania, che spiega il grande calore col quale è stato accolto Philip Glass, e la sua musica, presentata in una vasto campionario di pezzi diversi e di diversi periodi creativi. Il Philip Glass Ensemble ha eseguito alcuni lavori storici, estratti da Music in 12 Parts, Glassworks, The Photographer, Einstein on the Beach. Adrija Čepaitė (con l’Orchestra da camera lituana) ha diretto la Sinfonia n.3, sottolineando bene il carattere movimentato e politonale del secondo movimento e l’insolita discontinuità armonica del finale. Il violoncellista israeliano Gavriel Lipkind è apparso invece un po’ spento, sottotono nel Concerto per violoncello e orchestra n.2 «Naqoyqatsi», nato da una riscrittura delle musiche per l’omonimo film di Godfrey Reggio (film del 2002 che completava la Trilogia qatsi, dopo Koyaanisqatsi e Powaqqatsi). Il risultato era una partitura in sette movimenti, ben orchestrata e piuttosto articolata, poco “minimal”, piena di colori, di contrasti, di break imporvvisi, con la parte solistica (ampliata e rielaborata rispetto all’originale) che si muoveva su linee molto acute e con frequenti assoli. Il concerto è stato eseguito dall’ottima Orchestra di Stato della Lituania, diretta da Andris Veismanis, e accolto dal pubblico con applausi infiniti e standing ovation.
Anche di Heiner Goebbels si sono ascoltati alcuni “classici” come Aus einem Tagebuch (2003), per una strana orchestra con molti fiati e percussioni, ma con gli archi ridotti a sei contrabbassi, e Max Black (1998), collaudato esperimento di teatro musicale (su testi di Paul Valéry, Georg Christoph Lichtenberg, Ludwig Wittgenstein e Max Black) dove il filosofo (l’attore André Wilms) appariva come un Faust dell’assurdo. Più stimolante è stato il bel ritratto dedicato a Hanna Kulenty. La compositrice polacca, nata nel 1961, allieva a Varsavia di Kotoński, e ad Amsterdam di Andriessen, ha individuato già negli anni Ottanta un linguaggio molto personale, una scrittura trasparente ma capace di mettere in gioco materiali eterogenei (arpeggi, ostinati, glissati, inflessioni microtonali, elementi jazz e minimal), gesti netti, dai ritmi percussivi, con architetture formali complesse e di ampio respiro, governate spesso da progressioni accordali, e da processi distinti e sovrapposti. A Vilnius, Roland Freisitzer ha diretto Part One, prima parte della Sinfonia n.3 (1998) – insieme a due prime mondiali di due giovani, promettenti compositrici lituane, Iris per clarinetto e orchestra di Ugnė Giedraitytė e Ashraga per fisarmonica e orchestra di Rūta Vitkauskaitė. Il belga Ensemble Sepctra ha eseguito Crossing Lines (2001), lavoro per violino, clarinetto e pianoforte, basato su strati sonori melodicamente riconoscibili, che creavano una complessa trama di interferenze. Altri pezzi della compositrice polacca chiamavano in causa dei solisti, virtuosi assoluti, impegnati in veri e propri tour de force: il trombettista olandese Marco Blaauw ha eseguito il Concerto per tromba e orchestra (2002), di cui è anche dedicatario, pezzo ispirato alla musica balcanica, con squarci sospesi, meditativi (che la compositrice definisce «European Trance Music») che si mescolavano con la continua stratificazione (polifonica e polimetrica) di linee melodiche; la clavicembalista Goska Isphording, straordinaria, si è cimentata col GG Concerto (2009), uno dei pezzi di maggior successo della Kulenty, frenetico, pieno di accordi martellanti e di cesure ritmiche; il fisarmonicista polacco Eneasz Kubit ha suonato E-motions (2011), pezzo per fisarmonica e orchestra molto movimentato, con una profusione di temi e di ritmi, giochi percussivi e incalzanti effetti di crescendo.
Nel ricco cartellone di Gaida comparivano molti lavori di facile ascolto, anche un po’ naïf nelle loro caratterizzazioni nazionali, e nel gusto descrittivo, come Last Round di Osvaldo Golijov, saturo di tango, come un Piazzolla al cubo; o Beijing Harmony di Michael Gordon, pezzo frastornante basato su continui crescendo e stucchevoli progressioni su un medesimo pattern melodico. Al confronto un lavoro come Un leggero ritorno di cielo di Stefano Gervasoni brillava di luce propria, per la finezza della scrittura, il contenuto emozionale: sullo sfondo di una delicata trama orchestrale emergevano via via screziature melodiche del violino solo, improvvise esplosioni accordali, sventagliate degli archi, o l’eco di un corale sommesso. Un panorama stilisticamente assai vario offrivano i lavori dei compositori lituani, ovviamente molto ben rappresentati. Dominavano le tendenze neotonali, in pezzi scritti da compositori di generazioni assai diverse. Nella Sinfonietta per orchestra d’archi di Vytautas Laurušas (nato nel 1930), lavoro presentato in prima mondiale, dal carattere tematico, imitativo, lirico, molto legato a stilemi della seconda Scuola di Vienna. In Epitaph to the Maid of Orleans di Bronius Kutavičius (nato nel 1932, figura storica della nuova musica lituana, molto noto anche come compositore di musiche per il teatro e per il cinema) versione da concerto (del 2014) delle musiche scritte per il film muto La passione di Giovanna d’Arco di Theodor Dreyer, musica con una forte componente minimalista e venature gregoriane.
O ancora in Season of the Three M’art Comedies, concerto per violino e orchestra di Algirdas Martinaitis (nato nel 1950), pezzo molto teatrale, grottesco, dadaista, pieno di umori, di citazioni (Vivaldi deformato), di momenti deliranti (con gli orchestrali che suonavano trombette e palloncini), con la parte solista affidata alla giovane violinista dominicana Aisha Syed. Molto più interessante, e al passo coi tempi, No Blood… No Wings, prima mondiale di Ramūnas Motiekaitis (nato nel 1976), lavoro per orchestra da camera dal carattere sospeso ma carico di tensione, caratterizzato da un ordito strumentale stridente, dissonante, tutto sottovoce, dal quale si staccavano occasionalmente delle bolle sonore cantabili. Una vera scoperta è stata infine Onutė Narbutaitė, compositrice nata a Vilnius nel 1956, allieva di Kutavičius e di Julius Juzeliūnas, legata alle correnti del neoromanticismo baltico, ma capace di sviluppare uno stile personale, fatto di textures lavorate finemente e di forte temperatura espressiva. Tratti emersi nella sua nuova opera in due atti, Kornetas, composta su proprio libretto (in lituano, tedesco, francese e italiano), concepita come una libera improvvisazione su un testo di Rainer Maria Rilke, il poema in prosa Canto d’amore e morte dell’alfiere Christoph Rilke (dove l’autore, giovanissimo, ripercorre un viaggio immaginario di un presunto antenato morto al seguito dell’esercito imperiale nella campagna contro i Turchi). E inWas there a Butterfly?, lavoro per orchestra da camera scritto nel 2013, concepito come una metamorfosi continua, una trama di grande seduzione, piena di fremiti, armonicamente molto mobile, conclusa con una fascia statica, sospesa, quasi impercettibile.