Dopo l’Orfeo rappresentato nel 2009 e Il ritorno di Ulisse in patria nel 2011, si conclude l’importante trilogìa monteverdiana firmata Rinaldo Alessandrini e Bob Wilson
di Luca Chierici foto © Lucie Jansch
È FACILE DIMENTICARE QUANTA STRADA sia stata compiuta negli ultimi decenni per prosciugare tanti eccessi che avevano caratterizzato le prime riprese moderne dei grandi capolavori monteverdiani, per giungere all’essenzialità espressiva propria del trittico che è stato presentato alla Scala a partire dal 2009 in coproduzione con l’Opéra National de Paris.
L’ultimo titolo (e il più difficile) della trilogia, L’incoronazione di Poppea, è oggi approdato nel teatro milanese con un successo di pubblico davvero notevole. Immagini di archivio e reperti sonori ci tramandano nel caso della mirabile Poppea i passati allestimenti della Wallmann, via via spogliati di inutili orpelli nelle successive edizioni scaligere preparate da Ponnelle e Deflo. Il recupero della prassi esecutiva dell’epoca e il sempre più approfondito studio delle fonti portavano parallelamente a definire una versione più credibile sul piano strumentale e vocale, per approdare oggi a quella messa a punto dalla figura insostituibile di Rinaldo Alessandrini, campione di tanti recuperi che ci permettono di affrontare con maggiore consapevolezza un repertorio lontano nel tempo e spesso travisato.
La presenza di un regista e scenografo come Bob Wilson conferisce un tocco magico a queste rappresentazioni, vuoi per la scelta di recuperare la gestualità tipica del teatro seicentesco, vuoi per illustrare con un’economia di mezzi straordinaria i luoghi nei quali si svolge la vicenda: il quadro che illustra il sonno di Poppea raggiunge in tal senso attraverso la visione di Wilson un apice di espressività poetica che è sufficiente a garantire il successo di questa produzione. Un ascolto non facile, quello del teatro monteverdiano, che produce nello spettatore non specializzato un senso di stupore nei confronti di un tipo di espressività allo stesso tempo lontana dalle regole del melodramma più tardo eppure così moderna, attuale.
Il successo che il pubblico ha tributato anche a questa Poppea è stato unanime ed egualmente ripartito sulle diverse componenti dello spettacolo, così come dovrebbe sempre accadere. Non si hanno sufficienti parole per lodare il coinvolgimento di Alessandrini e dei cantanti che hanno preso parte alle recite, dai fuoriclasse Miah Persson, Monica Bacelli, Sara Mingardo all’ottimo Nerone di Leonardo Cortellazzi, il Seneca di Andrea Concetti, la Drusilla di Maria Celeng, l’Arnalta di Adriana Di Paola. Problemi di collazione delle diverse fonti, confronti tra i manoscritti che hanno permesso di venire a capo di problemi filologici ritenuti praticamente irrisolvibili sottintendevano in trasparenza una realizzazione finale perfetta, lineare, che rimarrà come punto di riferimento irrinunciabile negli annali del Teatro.