Il recital del tenore peruviano al Teatro alla Scala, accompagnato dal pianista Vincenzo Scalera
di Luca Chierici
UN CALENDARIO SCALIGERO così fitto di appuntamenti canori – nel giro di una settimana Kaufmann, Flórez e Nucci – offre l’opportunità di ascoltare quanto di meglio vi sia in circolazione ma rischia anche di suggerire alcune considerazioni sul concetto di “recital di canto” se non di trascinare lo spettatore verso confronti che in realtà non hanno alcun senso, dato che le tipologie tenorili alle quali appartengono le due star sono totalmente differenti.
Flórez non delude mai le aspettative, non c’è dubbio, anche se in parte si rimpiange la freschezza giovanile di una voce che si è andata trasformando
Eppure quando due astri si trovano a incrociare la propria traiettoria, ce lo insegna la teoria delle perturbazioni, ciascuno modifica il moto dell’altro e in questo caso è fuori dubbio che l’impianto del concerto tenuto da Kaufmann abbia non poco influito su quello, più tradizionale, offerto dal tenore peruviano l’altra sera. È innegabile che il recital monografico e cronologicamente impaginato di Kaufmann si sia rivelato molto più interessante del programma presentato da Flórez, che ricalca uno schema immutabile da anni. È vero che se un cantante affascina il pubblico con il proprio timbro di voce, il fraseggio, la personalità, la bravura nei passaggi virtuosistici, gli acuti e via dicendo può presentare quel che vuole e la serata si trasformerà sempre in un grande successo.
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Tuttavia ascoltando il pur bravissimo Juan Diego – la cui dizione esemplare offuscava, questa sì, quella un poco imprecisa di Kaufmann – si è avuta la sensazione di assistere a un rito troppe volte officiato alla Scala come altrove: il recital di canto che è un po’ un minestrone, con autori più o meno confacenti la tipologia vocale dell’artista, una sortita nel lied o nella melodia classico-romantica (mancava qui un aperitivo barocco che veniva peraltro sostituito con tre dalle Trentasei arie di stile antico di Donaudy) e l’immancabile preferenza verso il melodramma, vero motivo per il quale la maggior parte del pubblico nostrano va ad ascoltare i concerti di canto da che mondo è mondo. Per ascoltare la Berganza cantare «Voi che sapete» o l’Habanera dalla Carmen ti dovevi sorbire un’ora di canzonette spagnole, la Caballé arrivava alla Mimì pucciniana solo alla fine di una serie interminabile di bis e via dicendo.
Flórez non delude mai le aspettative, non c’è dubbio, anche se in parte si rimpiange la freschezza giovanile di una voce che si è andata trasformando e che oggi tenta di incanalare il personaggio verso una tipologia di tenore più simile a quella di un Kraus che non ai Merritt e ai Blake che avevano di pochi anni preceduto i virtuosismi canori di Juan Diego, almeno in territorio rossiniano. Ma di Kraus gli manca un fascino timbrico, una differenziazione dei piani sonori e diciamo pure un insight che rendevano il tenore scomparso un esempio unico. Flórez diverte, ammalia con una voce educatissima, ma raramente commuove, tantomeno nel repertorio delle melodie francesi di Duparc, esempi che mal si prestano a essere presentati in un recital siffatto e che avrebbero bisogno di un’atmosfera molto più raccolta. E lo stesso Tosti risultava molto più verace e appassionato quando a cantarlo era Luciano Pavarotti. Molto meglio Massenet e Gounod dove il timbro un poco nasale di Flórez sembra essere un veicolo ideale per sottolineare una linea vocale raffinatissima e dove egli riesce a trovare veri momenti di intensità espressiva.
È soprattutto l’imprinting rossiniano e donizettiano quello vincente nel caso di Flórez, anche se l’unico momento dedicato al pesarese era limitato al recitativo e aria di Don Narciso dal Turco in Italia e qualcuno si aspettava un’anticipazione dall’Otello che andrà in scena tra non molti giorni. Nutrita come sempre la sequenza dei bis: si transita per Offenbach, per La favorita (dove si ascoltavano ancora echi di Kraus e Pavarotti) e il pubblico si accende ancora per l’immancabile Granada, «M’apparì» dalla Martha di Friedrich von Flotow, Torna a Surriento in un poco probabile dialetto partenopeo. Perfetto come sempre, membro di una categoria che va scomparendo, era Vincenzo Scalera al pianoforte, che ha giustamente condiviso con il tenore l’esito trionfale della serata. (Recital del tenore Juan Diego Flórez. Pianista Vincenzo Scalera. Teatro alla Scala, 19 giugno 2015).
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