«The Best of Italian Opera» è il titolo di una mini rassegna svoltasi in quattro giorni al Teatro Regio e dedicata all’opera italiana
di Attilio Piovano foto Ramella&Giannese
QUATTRO TITOLI DI RILIEVO, quattro evergreen, quattro opere inossidabili e amatissime dal pubblico dei melomani. E fin qui niente di straordinario: Bohème, Barbiere, Traviata e Norma. Lo straordinario sta nel fatto di proporle a distanza ravvicinata nel giro di quattro sere contigue e nel continuare ad alternare le recite per complessive sedici serate sino a fine luglio 2015, con quattro cast distinti e, ovviamente, ben quattro diversi direttori. L’impresa, perché di vera e propria impresa si tratta (artistica e produttiva) la realizza il Regio di Torino, offrendo in questo torrido mese di luglio agli appassionati melomani «The Best of Italian Opera», in concomitanza con Expo 2015. Uno sforzo non da poco, un’impresa che forse pochi teatri italiani possono permettersi: reso possibile dalle caratteristiche tecniche del Regio che può ospitare in contemporanea ben quattro allestimenti per l’appunto e grazie a complessi perfettamente ‘oliati’, affiatati ed efficienti, dall’orchestra, in stato di grazia al coro, ai supporti tecnici e via elencando. E il pubblico risponde bene, affollando l sala, e fa piacere sentire parlare anche francese e tedesco, spagnolo e inglese nel corso di queste serate. Molti dunque gli stranieri, numerosi altresì i giovani, ed anche i giovanissimi, studenti di Conservatori, Università e Politecnico, certo invogliati e corteggiati con biglietti stracciatissimi a soli 5 euro. Ma va bene così: puntare sul pubblico di domani è una strategia vincente. Un buon segno di vitalità del teatro.
Ecco allora in apertura (giovedì 9 luglio 2015) la pucciniana Bohème. E si è trattato dell’allestimento ormai ‘storico’, vale a dire quello con le belle scene e i figurini di Eugenio Guglielminetti datati addirittura 1983, ma tuttora validi (già era approdato in passato al Castello di Racconigi), scene amabili e realistiche ancorché non oleografiche o supinamente bozzettistiche. Del resto, pare quasi ovvio ribadirlo, ma tant’è (specie dinanzi a certe regie e allestimenti a dir poco strampalati), in Bohème la soffitta dev’essere una vera soffitta, dalla quale contemplare i proverbiali «cieli bigi», e relativi «mille comignoli», ovviamente con regolamentare rima di bigi / Parigi… Per dire: la neve per l’alba alla Barriera d’Enfer dev’essere davvero tale, cadere a fiocchi e stupire come in una cartolina, e così il quartiere latino deve evocare davvero il «lezzo di frittelle» e le «leccornie», per riprendere ancora gli immortali versi della premiata ditta Illica & Giacosa.
Dunque l’allestimento proposto al Regio nel 2008 (anche questo all’estero è del tutto normale, far circuitare uno spettacolo di repertorio e riproporlo più volte, abbassando i costi: solo nelle nostre contrade è un vezzo snob storcere il naso e pronunciare un fazioso «…s’è già visto»). L’allestimento è dunque quello fondato sui bozzetti e i figurini di Guglielminetti, con le efficaci scene di Saverio Santoliquido e Claudia Boasso, realizzate dunque dalle maestranze interne del Regio, coi costumi di Laura Viglione. La regìa di Vittorio Borrelli muove correttamente solisti e masse in scena (apprezzabile specie il brio del second’atto, ambientato al caffè Momus). Protagonista l’applaudita Barbara Frittoli che ha regalato emozioni nei passi topici della partitura. Assai applaudito anche Stefano Secco, bene Maria Teresa Leva, una Musetta fin troppo sopra le righe, scenicamente, ma vocalmente a posto, sfrontata e vivace. Buono il versante ‘scuro’ delle voci, Markus Werba (Marcello), Simone Del Savio (Schaunard) e Riccardo Zanellato (Colline).
Dal podio Andrea Battistoni, tra le più apprezzate bacchette della sua generazione, tecnicamente agguerrito, ha impresso ritmi pimpanti (in qualche caso fin troppo) a cominciare dall’esordio, spesso richiedendo sonorità eccessivamente corpose, col rischio talora di coprire un poco le voci e sacrificare qualche dettaglio. Più cesello e più lavoro di bulino avrebbero forse giovato, anche per porre in luce i mille dettagli strumentali della partitura. Più cura nell’annodare le fila di una tramatura sonora che a tutt’oggi ha dell’incredibile per bellezza e saldezza drammaturgica. Ma alla fine la commozione era palpabile in sala, ed è quello che veramente conta. E così ancora una volta (grazie anche all’ottima performance del coro e del coro di voci bianche istruiti da Claudio Fenoglio) la storia d’amore piccolo borghese della fioraia Mimì che vive di «sogni e di chimere» e del sognatore Rodolfo («Chi son? Sono un poeta. Come vivo? Vivo…») si è sprigionata in (quasi) tutta la sua fragranza e le emozioni, in complesso, non sono mancate.
Piccola nota di colore conclusiva: dopo una serata al fresco dell’aria condizionata del Regio l’impatto col caldo-umido di piazza Castello è stato durissimo. E allora in molti, citando i versi immortali di Illica e Giacosa e dimenticando il significato reale di tale frase nel plot della vicenda, proclamavamo con prosaica, ma realistica convinzione: «Vorrei che eterno fosse il verno!».
Bravo Attilio! Se magari fossi lì per vivere questa bellissima rassegna, infatti, Bohème è una mia preferita! Sono comunque contenta che ci siano stati così tanti giovani, cosa importantissima e bellissima.