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I «Carmina Burana» protagonisti a Torino

di Attilio Piovano
29 Dicembre 2015
in RECENSIONI
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Home RECENSIONI
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Le cantiones di Carl Orff approdano al Teatro Regio in forma scenica con un allestimento originale, direzione musicale di Jonathan Webb


di Attilio Piovano foto © Ramella&Giannese


PROPORRE SULLE SCENE DI UN TEATRO LIRICO alcunché pensato per una dissimile destinazione costituisce sempre una sfida: che si tratti di un allestimento semi-scenico (come talora accade per alcuni capolavori sacri, quali ad esempio le bachiane Passioni) ovvero che si tratti di una vera e propria messa in scena di “qualcosa” che, pur essendo altro rispetto al teatro, possiede una sua insita teatralità. E dunque una partitura sinfonico-corale, ma dalle esplicite potenzialità spettacolari: è questo il caso di Carmina Burana di Carl Orff, la cui notorietà è tale che ci si può tranquillamente permettere di glissare sui tratti formali e linguistici che caratterizzano tale opera celeberrima, nonché assai amata dal pubblico di tutte le latitudini (stante la sua ingenua ed aproblematica immediatezza). Partitura, peraltro, nata nel 1937 – secondo le dichiarate aspirazioni dell’autore – come primo pannello di una possibile trilogia teatrale (I Trionfi) poi completata dai successivi (e invero assai meno fortunati) Catulli carmina del 1943 e dal Trionfo di Afrodite del 1953. Il destino ha fatto sì che queste fascinose Cantiones profanae, cui di fatto Orff deve tuttora quasi esclusivamente la propria fama, siano entrate in repertorio presso le sale di tutto il mondo dove vengono eseguite in forma di concerto. Pur tuttavia è proprio al teatro che pensava Orff e, non a caso, in veste scenica i Carmina Burana vennero rappresentati per la prima volta all’Opera di Francoforte l’8 giugno del 1937 sotto la direzione di Bertil Wetzelsberger, per la regìa di Oskar Wälterlin e con le scene di Ludwig Sievert. In Italia approdarono in veste scenica alla Scala nell’ottobre del 1942, a dirigerli Gino Marinuzzi con la regìa di Oscar Fritz Schuh e le scene di Caspar Neher.

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Da allora, nonostante le attestazioni di stima di uno Strauss che (pur sbagliando) preconizzava per Orff un luminoso futuro di compositore per il teatro in realtà mai avveratosi, i Carmina Burana fatalmente – merita ribadirlo – sono appannaggio delle sale da concerto. Ben venga la proposta di un allestimento scenico che di fatto si rivela dunque in sintonia con l’aspirazione primigenia del musicista bavarese che in realtà ha esplicitamente ‘sottotitolato’ il lavoro Cantoribus et choris cantandae comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis, di fatto delineandone l’ideale veste scenica.

La lunga premessa d’obbligo era del tutto dovuta, trattandosi per l’appunto di un titolo anomalo entro il cartellone di una normale stagione lirica, prima di accingerci a riferire del valido spettacolo andato in scena al Teatro Regio di Torino, a partire da giovedì 17 dicembre 2015 e replicato per quattro ulteriori recite. La produzione originale è a cura del Círculo Portuense de Ópera (Porto) in un allestimento del Regio stesso, per la regìa di Mietta Corli che, assistita da Anusc Castiglioni (con la direzione dell’allestimento a cura di Saverio Santoliquido), ha saputo ben ricreare un Medioevo idealizzato e un po’ stereotipo, festoso e policromo, in simbiosi con la lepida levità del carattere di queste cantiones; avvalendosi di fondali improntati a smagata naïveté, con video di cavalli al galoppo (realizzati in tandem con Vittorio Borrelli) e giovinette scalze biancovestite con treccia bionda d’ordinanza (in qualche caso pericolosamente in bilico tra Heidi e reminiscenze disneyane), ma pur sempre con gusto e innegabile eleganza: a fronte di ben altri allestimenti circolati per il mondo, ora eccessivamente concettosi ed intellettualoidi, in chiave post-modern, ora decisamente trash o splatter, come si suol dire. Nulla di tutto questo, e invece un tono sereno e primaverile, già a partire dalla scena d’esordio, prevedibilmente (ma anche efficacemente) volta ad evidenziare, con tono un poco didascalico, il moto della famigerata ruota della fortuna cui allude il testo, con tanto di corollario di lune e segni zodiacali.

Bene la caratterizzazione delle tre parti del lavoro, e dunque la Primavera che fa da sfondo a danze e pantomime, poi la Taverna resa con realismo gradevole e pur chiassoso, grazie anche alle ottime e variegate luci di Marco Filibeck che in pochi secondi garantiscono viraggi cromatici incredibili sui costumi dei coristi, meglio che se cambiassero abito in tempo reale, infine nella Corte d’amore. Numerose e per lo più gradevoli le trouvailles sceniche. Tra i momenti di maggior efficacia (per lo più privi di cadute di gusto), l’ambientazione del cigno arrostito e quasi pronto per essere divorato, più ancora la caratterizzazione della fanciulla solitaria che trascorre la notte nella tristezza, priva di un uomo che la intrattenga a dovere, ovvero la “scena” in cui alcuni clerici vagantes, quasi seriosi accademici, “descrivono” con tanto di lunghe bacchette-verghe, come in una lezione universitaria, gli effetti benefici dell’amplesso (Si puer cum puellula) e forse si poteva evitare l’esplicita allusione fallica delle verghe poi impugnate ad hoc dai clerici, già il testo è oltremodo trasparente in tal senso.

Molto d’effetto la visione della ragazza rossovestita (in corrispondenza del brano In Trutina con vaghe allusioni alle coreografie dell’indimenticabile e geniale Loïe Fuller). Qualche eccesso nella taverna, con movenze da can-can un filino fuori luogo e più ancora nella scena del bagno simmetrico, con tinozza dei due innamorati che poi ascendono ad una sorta di incoronazione ideale, ma valido, dopo la blasfema caricatura dell’Ave Maria (il corale Ave formosissima), il trapasso alla parte conclusiva che musicalmente – si sa – riprende l’esordio, chiudendo il cerchio, è davvero il caso di dirlo, e non solo idealmente. In sintonia con le scelte registiche i bei costumi di Manuela Bronze e Laura Viglione, molto appropriate, di notevole charme e di fatto funzionali le coreografie di Marcelo Ferreira (riprese da Anna Maria Bruzzese).

Sul piano strettamente musicale un plauso speciale va innanzitutto al Coro del Regio e al Coro di Voci bianche di Regio e Conservatorio, ben affiatati, ben movimentati in scena e in buona forma complessiva. Apprezzabile poi la valida dizione, frutto di un lavoro come sempre puntuale, accurato e scrupoloso da parte di Claudio Fenoglio: conseguentemente all’indirizzo dei cori sono fioccati applausi vivissimi e meritati. Bene l’Orchestra del Regio, pur in presenza di qualche stacco dei tempi curioso, se non addirittura bizzarro (o provocatorio: ad esempio suona inconsueto e francamente inefficace cambiare metronomo a metà del brano d’esordio), e questo da parte di Jonathan Webb che dal podio ha governato il tutto con passabile correttezza, in qualche caso lasciandosi scappare (ancora la sera dell’ultima recita) occasionali scollamenti ritmici e qualche imprecisione di attacco. Ma sono piccoli nei entro uno spettacolo di gran classe nel quale hanno avuto modo di primeggiare ottime voci soliste. E allora molto apprezzata la performance del soprano Laura Claycomb che ha saputo realizzare suoni filati e pianissimi da brivido in Dulcissime, conferendo toni suadenti e sensuali nel contempo a Stetit puella. Bene il baritono Thomas Johannes Mayer, appena qualche ineleganza in Omnia Sol temperat e che pur tuttavia avremmo voluto un po’ più possente e ironico nei panni dell’Abate di Cuccagna. Buono il tenore John Bellemer che nella pantomima del cigno ha trovato giusti accenti; ma se anche avesse osato un po’ di più e ci avesse messo ancora più humour, pur tenendosi lontano dal tono corrivo di altri suoi colleghi, lo avremmo ugualmente apprezzato.

Uno spettacolo, in conclusione, del quale conserveremo a lungo memoria. Applausi convinti a fine serata, per l’intera serie delle recite e alcuni ascoltatori – come da testimonianze raccolte in sala tra una chiacchiera a l’altra – che lo hanno addirittura visto due o tre volte.

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Tags: Carl OrffCarmina BuranaJohn BellemerJonathan WebbLaura ClaycombTeatro Regio di TorinoThomas Johannes Mayer
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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