di Luca Chierici foto Brescia & Amisano
INIZIATA SOTTO I MIGLIORI AUSPICI, la prima rappresentazione di questo nuovo allestimento de I due Foscari alla Scala si è conclusa con evidenti contestazioni provenienti da una parte del loggione che non ha gradito molto la direzione di Michele Mariotti e la performance della soprano Anna Pirozzi nel ruolo di Lucrezia Contarini. Contestazioni che ci trovano consenzienti solo in parte e che d’altronde sono più che salutari nella vita di un teatro e nel clima odierno che troppo spesso giustifica l’idolatria e la concessione di standing ovation in misura tale da far perdere agli eventi musicali qualsiasi significato di eccezionalità.
Di Plácido Domingo non si può che ammirare l’enorme musicalità, la qualità di una voce che resterà nei record dei primati per longevità, l’invidiabile presenza scenica
Vi è da dire che oggi, nell’era dei media e della comunicazione, siamo letteralmente bombardati da messaggi, presentazioni caricate su YouTube, interviste e conferenze stampa che risultano ottimi veicoli di informazione ma che tendono a volte a creare aspettative successivamente non confermate dalla realtà dei fatti. In tal senso si è ad esempio insistito con la descrizione degli intenti del regista e scenografo Alvis Hermanis fino a catalogare minuziosamente tutti i dipinti di Palazzo Ducale da lui inseriti come sfondo delle scene di questi Foscari. Operazione encomiabile, soprattutto per coloro che intendono scrivere un pezzo di cronaca e di costume sulla serata fondato solo sui particolari visibili, ma che non faceva altro che puntare il dito sulla predominanza del peso scenografico che andava a coprire una evidente mancanza di idee registiche. Più che i dipinti del Tintoretto o di Bellini, ben trovata era l’idea di rappresentare immagini tratte da vecchie fotografie della Venezia di fine ’800, immagini sfocate, a volte colte quasi nel processo di sviluppo della fotografia stessa, unico supporto visibile a un’idea registica che voleva insistere sul parallelo tra il declino dei Foscari e quello, ancora da venire, della Serenissima. E anche la insistita presenza degli allievi del corpo di ballo, con movimenti che all’inizio mimavano goffamente i ritmi non certo avveniristici della scrittura verdiana, o il roteare a vuoto del remo del gondoliere, non ha che contribuito a marcare l’assenza di spunti più interessanti, se si eccettua il momento iniziale nel quale veniva proposta la presenza del Doge che si aggrappa disperato alla statua del leone di Venezia, raffigurazione che conteneva in nuce tutto il senso della tragedia.
Tra le dichiarazioni programmatiche vi erano anche quelle del direttore d’orchestra e concertatore Michele Mariotti, senza dubbio una delle personalità di spicco nel panorama dei giovani musicisti italiani, che si sta affermando con successo anche all’estero. Partendo da un assunto di per sé più che giustificato (non evidenziare nel primo Verdi ciò che manca nei confronti della produzione successiva, ma al contrario sottolineare lo sperimentalismo, le novità, il senso musicale di un lavoro che risale al 1844) Mariotti ha dato dei Foscari una lettura senz’altro apprezzabile dal punto di vista strettamente tecnico ma non ci ha fatto dimenticare visioni più proiettate verso il futuro, com’era ad esempio quella che era alla base della proposta di Chailly, sempre alla Scala, in un oramai lontano 1979, con un cast ideale che vedeva la presenza di Piero Cappuccilli e della Ricciarelli. Sottolineare il carattere anticipatore del futuro Simon Boccanegra ci era parsa tutto sommato azione molto proficua per risollevare le sorti di questi Foscari che, non lo dimentichiamo, erano rimasti fuori dal repertorio del Teatro per ben 121 anni dopo le ultime recite del 1858.
Il dissenso del loggione si è innanzitutto diretto verso la Lucrezia Contarini di Anna Pirozzi, soprano emergente al suo debutto scaligero che ha già dietro di sé una carriera non certo sottovalutabile (Nabucco e Trovatore con Muti, Macbeth con Roberto Abbado, Aida con Noseda). La Pirozzi si è subito presentata con una voce stentorea, di notevole volume ma timbricamente non pregevolissima, e gli applausi dopo «O Patrizi, tremate» sono stati seccamente zittiti da una parte del pubblico. Né le cose sono andate meglio in seguito, tanto che si è percepito un non insensibile peggioramento nella qualità del canto pur nell’assenza di veri e propri incidenti di percorso. Gli applausi hanno del resto stentato a farsi sentire nel primo atto anche nei confronti di Meli, voce indubbiamente interessante, artista molto preparato, ma che alla fine tarda a commuovere in un ruolo che forse soffre originariamente di un patetismo troppo compiaciuto.
Di Plácido Domingo non si può che ammirare l’enorme musicalità, la qualità di una voce che resterà nei record dei primati per longevità, l’invidiabile presenza scenica. Sterili sono in questo caso le discussioni che vertono sulla tenorilità di una voce che non si addice ai ruoli baritonali. Semmai si è portati inconsciamente a pensare sempre a lui come Otello, come Manrico o Don Carlo e a fugare la visione di un Foscari o di un Boccanegra morente, quasi volessimo allontanare il più possibile l’ipotesi di una futura perdita di questo artista immenso. Artista che ha ovviamente attirato su di sé la maggior parte degli applausi finali e che è diventato una sorta di Atlante prendendo sopra di sé tutta la responsabilità dello spettacolo, accompagnando affettuosamente il giovane Mariotti al proscenio come a proteggerlo dai dissensi. Notevole, ancor più del solito, l’apporto del coro guidato da Casoni. Quest’ultimo, al momento degli applausi, è stato inopinatamente inserito nel pacchetto dei fischi, facendo pensare che talvolta questi ultimi vengano sparati a mitragliera senza attenzione alcuna alla posizione del bersaglio. Per la cronaca, al regista e a tutto il suo nutrito staff la componente dissenziente del teatro non ha rivolto una pur minima contestazione.
E’ scritto sopra!
In ogni caso è sempre interessante leggere un così completo reportage su questo spettacolo lirico atteso e così ampiamente spiegato da Chierici,anche sull’esito dei gradimenti o meno del pubblico: ognuno di noi deve avere le proprie idee e i suoi apprezzamenti nel seguire l’Opera senza lasciarsi troppo influenzare dalle valutazioni altrui…Dalle riproduzioni fotografiche (doveroso ringraziare chi ce le ha proposte) posso dire che sono molto, molto efficaci nel rappresentare lo sfarzo sontuoso dell’Epoca “morente” e straordinaria mi sembra la Potenza rappresentativa di Placido Domingo dominante della Scena…Grazie ancora a chi ci ha dato la possibilità di vedere e SAPERE anche a noi, purtroppo non presenti alla Scala. Myriam