di Luca Chierici foto © Luca Piva
Il ritorno di Christoph Eschenbach alla Scala si è celebrato di recente, oltre che con The turn of the screw di Britten, anche con due concerti che hanno riscosso un buon successo di pubblico. L’altra sera si assisteva a una “coda” della Stagione 2015-16 della Filarmonica, che per l’occasione aveva invitato come solista la violoncellista argentina Sol Gabetta, 35 anni, artista oramai molto nota in tutto il mondo (ma non aveva mai suonato alla Scala) che si dedica con passione anche al repertorio cameristico. L’assegnazione di numerosi premi internazionali, la carriera discografica di primo piano, un suono molto bello, uno strumento assai pregevole (un Guadagnini del 1759), un approccio naturale, confidenziale al repertorio d’ogni epoca fanno oggi della Gabetta un punto di riferimento assoluto nel panorama del concertismo.
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Il Concerto di Elgar scelto l’altra sera come debutto con i Filarmonici non è purtroppo un capolavoro di comunicatività e avremmo preferito ascoltare la violoncellista in Saint-Saëns, Haydn o altro repertorio da lei affrontato con successo. Puntuale è giunta comunque l’approvazione da parte del pubblico, premiata da un bis, una pagina ispirata del grande Pablo Casals eseguita con il concorso di altri quattro cellisti dell’orchestra. Rigore e passione agitano il pensiero di Eschenbach quando è alle prese con il grande repertorio sinfonico e nella prima di Mahler si è apprezzato il lavoro sul dettaglio strumentale, così importante per il contenuto narrativo-descrittivo che anima questa sinfonia, tanto che a tratti – e non lo si consideri un appunto riduttivo – sembrava di ascoltare qualche riferimento al mondo di Dvořák, in particolare alla Sinfonia in sol maggiore, l’ottava, che del resto venne eseguita per la prima volta nello stesso anno (1889).
Qualche imprecisione negli ottoni, che hanno di contro dato miglior prova nel grande finale, ha fatto sì che non proprio tutte le intenzioni del direttore trovassero realizzazione compiuta nella prima parte della sinfonia mahleriana. L’orchestra ha peraltro assecondato in pieno Eschenbach soprattutto nel difficile gioco di rubati (o meglio ritardandi e accelerandi) che caratterizza il terzo movimento e tutti i riferimenti letterari in Callots Manier. All’inizio del mese di Ottobre, sempre alla Scala e in un concerto di beneficenza della Fondazione Rava, Eschenbach era riuscito nell’intento non facile di estrarre un suono beethoveniano e brahmsiano dall’Orchestra dei giovani dell’Accademia del Teatro, indirizzando al pubblico numerosissimo le “seconde sinfonie” dei due grandi musicisti precedute dall’Ouverture dell’Egmont. Grande successo per una serata davvero luminosa che sembrava concepita apposta per sottolineare le finalità umanitarie del progetto.
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