Una serata benefica con interpreti di vaglia restituisce spazio al repertorio settecentesco, altrimenti escluso dalla rassegna autunnale; in programma Vivaldi, Jommelli e il primogenito di Bach
di Francesco Lora
Al repertorio rinascimentale-barocco e contemporaneo è dedicata la rassegna autunnale dell’anno del Bologna Festival: “Il nuovo, l’antico”. Nel 2016, per la verità, il repertorio contemporaneo ha fatto da padrone assoluto, con aperture non a quello sei-settecentesco, bensì a quello ottocentesco di Beethoven, Schubert e Schumann. A raddrizzare i conti è stato un concerto organizzato nell’àmbito del festival, e posto in coda alla rassegna pur non facendone ufficialmente parte: serata benefica nel Teatro Manzoni di Bologna, il 28 novembre, a favore della Fondazione Face3Dbo, che opera nell’ospedale S. Orsola per promuovere l’avanguardia in àmbito chirurgico. Dal punto di vista artistico, una deduzione positiva: il programma del concerto, tutto settecentesco, indica come questa parte del repertorio, con le sue scoperte, si presti oggi senza timori alla soddisfazione di un pubblico perlopiù occasionale, non sempre di alta militanza musicofila, nobilmente aggregato per ragioni soprattutto etiche.
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Programma equamente diviso tra il rarissimo che affascina e l’arcinoto che non manca di sorprendere. Da una parte un Concerto per clavicembalo in Fa minore di Wilhelm Friedemann Bach e un trittico di arie: «Agitata infido flatu» da Iuditha triumphans e «D’un bel viso in un momento» dall’Incoronazione di Dario, entrambe di Antonio Vivaldi, inframmezzate da «Prigionier che fa ritorno» dalla Betulia liberata di Niccolò Jommelli. Dall’altra parte le Quattro stagioni, ossia la famosa silloge di concerti che nei correnti anni di furente renaissance vivaldiana rimane nella memoria di tutti, documentata da innumerevoli incisioni discografiche, ma che quasi per paradosso si ritrova viepiù di rado nel vivo degli auditorium. Esecutori di alte referenze: Ottavio Dantone si presenta nel duplice ruolo di concertatore e clavicembalista alla testa della sua Accademia Bizantina; tra le file di quest’ultima spicca il violino di Alessandro Tampieri, solista ora arguto ora edenico, vuoi nelle Quattro stagioni vuoi – parte obbligata – nell’aria anch’essa vivaldiana «Sovente il sole» dall’Andromeda liberata; quanto al canto, la voce è quella del mezzosoprano francese Delphine Galou, in una delle sue non troppo frequenti apparizioni italiane.
La forza dell’evocazione, quando non addirittura della descrizione, trova in coerenza le musiche strumentali proposte: lo spirito tempestoso dello Sturm un Drang è già ben espresso nel concerto di Bach figlio, e più dolcemente anticipato nelle bizze della natura ritratte da Vivaldi. Nell’uno e nell’altro caso, Dantone e i suoi si impongono per spirito e ingegno, tradotti in imprevedibilità di fraseggio, sollecito trascolorare dinamico e agogico, reale erudizione nel decodificare figurazioni simboliche; quel che più si ammira, ogni intuizione o scelta è attuata in forma chiara e decisa, palesando bontà e studio, ma mai soggiace all’eccesso iperrealistico o all’arbitrio indifendibile cui cedono invece oggi molte esecuzioni con pretesa di informazione storica. La vivacità del discorso strumentale non recede di un filo nell’accompagnamento al canto: senza avere il fascino timbrico e l’esattezza fonetica delle colleghe italiane, la Galou vanta però un’immascheratura altera e una vocalizzazione spigliata; quanto basta a garantire un Vivaldi di classe.
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