I concerti di Alberto Ferro, Alexander Malofeev e Filippo Gorini
di Luca Chierici
Febbraio è stato un mese ricco di proposte pianistiche a Milano, soprattutto per quel che riguarda una nuova generazione di solisti che si è distinta in vari concorsi internazionali. Appena spento il clamore per il debutto milanese di Lucas Debargue – di lui abbiamo parlato diffusamente – si è apprezzato in Conservatorio il ventennne Alberto Ferro, nato a Gela, in Sicilia, e vincitore del secondo premio al Concorso Busoni del 2015. Mano saldissima, un suono sempre presente e incisivo ma mai aggressivo, Ferro ha dato ottime prove in tutto il repertorio da lui affrontato, con una particolare menzione per la difficilissima Sonata n.1 di Šostakovič che ha concluso il programma del suo recital per la Società dei Concerti.
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L’impaginazione del programma stesso va peraltro discussa, perché raramente nella nostra esperienza si è verificato il caso di una scelta di elementi che non sia possibile ricondurre all’idea ragionevole di un qualsivoglia percorso. La successione che comprende la Sonatina in diem nativitatis Christi di Busoni, la Sonata op.10 n.2 di Beethoven, la dodicesima Rapsodia ungherese di Liszt e, nella seconda parte, la quarta Ballata di Chopin seguita appunto dalla prima sonata di Šostakovič appare senza capo né coda (a meno di qualche strano algoritmo che ci sfugge) e non è sufficiente sia a dare un senso compiuto a una serata sia a fornire informazioni sull’orientamento culturale dell’artista. Siamo convinti tuttavia che le impressionanti qualità strumentali di Ferro potranno molto presto integrarsi in maniera più compiuta e convincente con una più ponderata scelta di repertorio.
Il quindicenne Alexander Malofeev, enfant prodige che si è esibito con Valery Gergiev alla Scala nel primo Concerto di Čajkovskij in una esecuzione muscolare piuttosto insolita per un pianista di quell’età, ha invece deluso non poco le aspettative, mostrando un approccio molto generico nei confronti di un testo talmente esplorato da non sopportare più una declinazione volta solamente a illustrarne l’aspetto virtuosistico, peraltro qui non di livello straordinario. La non particolare eccellenza di Malofeev è stata confermata nei bis quando il giovane ha tentato di decifrare i misteri di Ondine dal raveliano Gaspard de la nuit, offerto come seconda prova dopo un non memorabile Pas de deux trascritto da Pletnev dallo Schiaccianoci di Ciaikovskij.Tra le altre cose va segnalato che Malofeev era stato annunciato come recente vincitore del Concorso Ciaikovskij, fatto che è stato riportato da tutta la stampa. Si tratta però di una competizione per giovani che non ha nulla a che fare con il prestigioso Premio che ha sede a Mosca.
Filippo Gorini, classe 1995, si è piazzato al primo posto nel Concorso Telekom Beethoven di Bonn, da non confondere con lo storico Concorso Beethoven di Vienna dal quale sono usciti pianisti come Mitsouko Uchida, Daniel Rivera, Stefan Vladar, Antti Siirala e l’italiano Filippo Gamba. Il concorso tedesco vanta oggi il supporto di un nume tutelare come Alfred Brendel, con il quale Gorini ha iniziato recentemente un percorso di perfezionamento. E il nome di Brendel, legato per tanti anni alla Società del Quartetto di Milano, spiega in parte il coinvolgimento della Società stessa in questo debutto. Gorini ha la stessa età di Alberto Ferro ma non esibisce la stessa sicurezza tecnica del coetaneo e ha un approccio del tutto diverso alla tastiera. Suona con scarsa differenziazione di peso e soprattutto è assai carente nella proiezione del suono in una grande sala (i suoi pianissimo erano a malapena udibili in terza fila). I grandi pianisti, soprattutto quelli nati fino agli anni ’40 del secolo scorso, hanno sempre avuto una gamma di intensità sonora stupefacente, alla quale si aggiungeva, in casi più rari, una altrettanto stupefacente palette timbrica. E la “presenza” del suono in sale di grandi dimensioni, allora come oggi, dovrebbe essere un must per ogni pianista, indipendentemente dalle scelte di repertorio e dall’orientamento interpretativo. Se paragonata all’impaginazione del programma di Alberto Ferro, quella di Gorini era certamente inappuntabile, ma dava adito a un’osservazione di altro genere. Il programma era infatti costituito integralmente da elementi presenti nel repertorio di Pollini (la Sonata op.110 di Beethoven, le Fantasien op.116 di Brahms e i Preludi di Chopin) ivi compreso uno dei bis (il primo numero dei Gesaenge der Frühe op.133 di Schumann).
È evidente che qui non si possa parlare di coincidenza, anche perché Pollini risulta essere dichiaratamente un punto di riferimento per il giovane collega, ma l’approccio interpretativo di Gorini ci è parso molto lontano da quello del grande pianista milanese, del quale non ha condiviso gli slanci e la passione nell’interiorizzazione del segno scritto. Si è avuta anzi l’impressione di una correttezza al limite del maniacale nel rispetto esteriore dello spartito nella Sonata op.110, che mancava però di poesia e di intensità, soprattutto nello straziante recitativo e aria centrale. E soprattutto non si ascolta in Gorini l’attenzione verso il canto, componente fondamentale nel pianoforte romantico di Chopin e Brahms e parametro ancora una volta legato al concetto di proiezione del suono cui accennavamo poc’anzi. Vi sono stati dei momenti, nei Preludi di Chopin, in cui si poteva invocare alla disperazione l’arte di far risaltare le melodie propria di un Cortot, anche di quello più malandato di un negativamente famoso “live” del 1956.
Peccato, perché l’ascolto di Gorini attraverso le registrazioni, grazie alla normalizzazione dell’intensità di suono, riesce a modificare in maniera non trascurabile le impressioni derivanti dall’esperienza in sala, anche dal punto di vista timbrico. Gorini è immerso nella musica al punto di non prestare neppure attenzione agli occhiali che gli calavano sul naso e cadevano poi quasi sulla tastiera, interrompendo per un attimo l’esecuzione. Si merita dunque una fiducia particolare e l’augurio di un ottimo proseguimento di carriera, con o senza l’ausilio dei pur famosi insegnanti cui si è rivolto per i propri studi di perfezionamento.
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