di Monika Prusak foto © Rosellina Garbo
È iniziata con mezz’ora di ritardo a causa dello sciopero della Fials-Cisal (a cui aderiscono anche alcuni orchestrali del Teatro Massimo) la prima di Guillaume Tell, messa in scena nel capoluogo siciliano dopo una lunga assenza e per la prima volta nella versione in lingua francese. Forse l’attesa ha influito sull’inizio assai poco coinvolgente: l’ouverture si tinge infatti di toni svogliati e indecisi, con scarsa concentrazione da parte dei musicisti e con risultato poco entusiasmante nella resa dell’insieme. Nel primo atto l’atmosfera si rischiara e il suono orchestrale diventa più brillante: Gabriele Ferro riesce a risvegliare letteralmente gli strumentisti e continuerà la sua direzione in un graduale crescendo fino alla fine dell’opera.
La questione contrattuale degli scioperanti, inserita nel contesto della Prima forse in maniera poco rispettosa nei confronti del pubblico, toglie attenzione al vero protagonista della serata, il regista Damiano Michieletto, presente in sala tra gli spettatori insieme al suo staff. Il suo Tell è bello da vedere, nostalgico e a tratti commovente, realizzato con grande eleganza e concentrazione sul dettaglio. Le scene piuttosto statiche mettono in risalto la musica di Rossini, riuscendo tuttavia a costruire un racconto drammaturgicamente valido, con diversi momenti rilevanti sia dal punto di vista scenico sia da quello musicale.
Michieletto lavora molto sul coro, rendendolo a tratti ridondante, ma eccelle nelle scene dialogate dei protagonisti, nelle quali la massa diventa scenografia. La sua interpretazione è supportata dal design delle luci di Alessandro Carletti, che con il gioco di timbri e sfumature riesce a mostrare numerose versioni di una stessa scena. Le scene di Paolo Fantin hanno un significato profondo: un albero sradicato è segno della perdita di identità di una comunità, che non ha forza di lottare, ma che sente il dovere di preservare la propria cultura; il pavimento cosparso di terra nera lascia il segno sul corpo di chi ci si sdraia sopra e diventa una ingegnosa idea per alcuni movimenti scenici. «All’ombra di questo albero ci si inginocchia, si prega, si discute, ci si sposa, si vive», racconta Michieletto, ma come si vedrà in seguito, esso non è sufficiente per nascondere le donne dalla violenza. La tanto criticata, dopo la prima della Royal Opera House Covent Garden di Londra, scena di violenza carnale di gruppo per opera dei compagni di Gesler, sapientemente riveduta nella versione palermitana, non sconvolge affatto, confermando solamente la triste realtà in cui viviamo, che ci rimanda in qualche modo ai racconti di guerra, ai campi nazisti, al solito infame divertimento delle truppe. Ci indignamo, ma ci sentiamo impotenti e forse per questo la scena può suscitare reazioni negative. Questo influsso novecentesco in Rossini può effettivamente accendere qualche protesta, ma riflettendoci sopra, siamo ben oltre il Novecento e forse lo stesso Rossini avrebbe apprezzato questa mirabile lettura del suo Tell in chiave moderna.
Sul palcoscenico regnano Guillaume Tell di Roberto Frontali e Mathilde di Nino Machaidze – nonostante la cantante georgiana abbia un’impostazione poco belcantistica – con personalità forti e decise dal punto di vista scenico e vocale. Tutto il cast è stato perfettamente pensato per questa interpretazione; lo stesso vale per il governatore Gesler di Luca Tittoto, che veste i panni di un soldato moderno. Coinvolge molto Arnold di Dmitry Korchak, che raggiunge senza sforzo i complessi passaggi acuti e rispecchia con vocalità e presenza scenica il carattere fragile del personaggio, combattuto tra l’amore per Mathilde e il dovere di servire la patria. Michieletto riflette sulla relazione padre-figlio, mostrando da un lato il cambiamento profondo di Arnold dopo la morte del padre Mecthal, impersonato da Emanuele Cordaro, quando il giovane comprende finalmente che la patria è in grave pericolo. Dall’altro lato, invece, il regista esalta l’amore spensierato e confidente tra Tell e suo figlio Jemmy, interpretato con maestria scenica e vocale da Anna Maria Sarra. Enkelejda Shkoza in Hedwidge è una madre e moglie d’esempio. Rimane impressa la scena commovente nella sua semplicità che anticipa lo scroccare della freccia da parte di Tell sopra la testa di Jemmy, nella quale Hedwidge si materializza in sottofondo mentre prepara la cena in attesa del ritorno dei suoi due uomini. Un altro elemento toccante è la presenza di un secondo Tell “storico” nei momenti cruciali dell’azione: Alberto Cavallotti in maniera molto abile mima lo sdoppiamento del protagonista, aiutando il Tell “moderno” a prendere le decisioni e a continuare la sua lotta.
Una nota va al Coro di Piero Monti, che con la sua preparazione e ottima resa vocale ha decisamente contribuito al successo della serata. Qualche singolo disappunto indirizzato al regista è stato sommerso da lunghi e calorosi applausi del resto del pubblico.
Gent.ima sig.ra Prusak,
sono Antonio Barbagallo, segretario provinciale della Fials-Cisal, il sindacato che ha ritardato di 30 minuti l’inzio della prima rappresentazione del Guillaume Tell il 23 gennaio al Teatro Massimo di Palermo.
Non entro nel merito della Sua critica nei confronti di musicisti, aristi, direttore e staff di regia che sicuramente sarà dettata dalla Sua coscienza e dalla Sua competenza. Allo stesso modo chi ha esercitato il diritto di sciopero, ricordo a me stesso riconosciuto dalla Costituzione Italiana, lo ha fatto facendo i conti con la propria coscienza e la propria competenza, ben sapendo che il disagio arrecato al pubblico rappresentava una contropartita necessaria per farsi sentire da una politica sempre più sorda e sempre più ignorante.
Purtroppo la direzione della Fondazione non ci ha dato la possibilità di leggere un comunicato per spiegare al pubblico in sala le ragioni della nostra protesta. Avrebbe appreso che le nostre non erano rivendicazioni di ordine salariali né tantomeno “contrattuali” come asserito da Lei.
Se vuole, visto che ha ritenuto opportuno fare una incursione in un ambito senza le giuste informazioni, posso darle tutto il materiale necessario per poter scrivere un pezzo esaustivo traendo, probabilmente, conclusioni meno superficiali. Diversamente il rischio è quello di somigliare a qualche blogger della domenica che racconta per sentito dire della stecca del tenore di turno e non perché presente in sala nel pieno possesso di tutte le proprie funzioni sensoriali.
Cordiali Saluti
Antonio Barbagallo