di Attilio Piovano
Sempre più spesso – fa piacere constatarlo – la programmazione artistica a Torino tiene (moderatamente) conto, a suo modo beninteso, dei tempi liturgici. È accaduto, per dire, tempo addietro di ascoltare una Passione bachiana opportunamente collocata in periodo quaresimale, ovvero un oratorio natalizio nei pressi di metà dicembre. Forse si tratta di circostanze casuali, chissà. Sta di fatto che a distanza ravvicinata di due soli giorni, nell’approssimarsi delle festività di Ognissanti e della Commemorazione dei defunti, ben due Requiem, diversissimi, ma ugualmente sublimi, si sono potuti ascoltare con emozione. E dunque la verdiana Messa da Requiem proposta dall’OSNRai la sera di giovedì 25 ottobre 2018 (e replicata poi venerdì 26) e il toccante Deutsches Requiem del sommo Brahms, al Regio la sera di sabato 27, in apertura della stagione dei Concerti del Regio.
Si è spesso sostenuto che la Messa del miscredente (o più propriamente) agnostico Verdi sia una pagina impegnata di teatralità: difficile negarlo. Per parte mia, per quanto possa valere un’opinione del tutto personale (sia pure da ‘addetto ai lavori’), ho sempre guardato a tale capolavoro ammirandone la bellezza con lucidità razionale ed intellettuale, amandola sì, ma di un amore misurato e per così dire ‘di testa’, non di cuore. Dinanzi all’interpretazione dell’OSNRai, ottimamente diretta da James Conlon, con il determinante e qualificatissimo apporto del Coro del Teatro Regio di Parma dall’impostazione eminentemente lirica, teatrale e dunque perfettamente adatto, e un cast di ottimi solisti, devo ammetterlo, per la prima volta è accaduto – e così all’intera, folta platea che affollava l’Auditorium ‘Toscanini’ – di provare emozioni intense che raramente altre esecuzioni del medesimo capolavoro avevano saputo suscitare.
Emozioni vivissime fin dall’attacco, magnifico e toccante, con il coro che subito si è fatto ammirare per duttilità e capacità di trascorrere dai pianissimi più delicati, quasi un unico strumento, agli scuotimenti tellurici del «Dies Irae» comme il faut. Una visione terrifica, quella della morte professata da parte di Verdi: e lo si comprende facilmente, anche nei passaggi più distesi, dove i solisti, l’ottima Anna Pirozzi (soprano, appena qualche asprezza nel «Lacrimosa») Marianna Pizzolato (contralto), il tenore Saimir Pirgu (all’inizio fin troppo stentoreo, ma poi entrato perfettamente nella parte) e il basso Riccardo Zanellato, hanno dato il meglio di se stessi. Quanta modernità di scrittura nel «Quid sum miser», col fagotto a proporre un ostinato di inquietante bellezza; OSNRai in super forma e Conlon che ne ha saputo estrarre una varietà di timbri e sonorità davvero incredibile, giù giù sino al superbo fugato, apparso adamantino e nitido per emissione ed incisività sonora. E ancora: lo sfolgorio del «Sanctus, questo sì smaccatamente ‘teatrale’ e vistosamente appariscente per non dire di una altisonanza esteriore. Tutto era chiaro e in nitida evidenza nel «Libera me Domine» molto opportunamente affrontato con tempo sciolto e brillante, insomma un vero trionfo e un profluvio di applausi convintissimi (la sera del 26 cui abbiamo assistito).
Al Regio il 27, dopo uno scintillante esordio nel segno della spumeggiante Ouverture op. 92 Karneval di Dvořák (francamente un po’ fuori tema, ma è servita egregiamente per propiziare la serata in termini squisitamente musicali) e dopo le bellissime Variazioni brahmsiane p. 56a sul tema del cosiddetto Corale di Sant’Antonio (eseguite con buona cura ed appropriatezza di stile, specie l’ultima in forma di Passacaglia conclusa dallo svettare festoso dell’ottavino) ecco il superbo Deutsches Requiem. Il musicista lo concepì a seguito della morte della madre. Colpisce il colore ambrato, il gusto per le mezze tinte, così pure – in piena sintonia – la scelta dei testi (tratti dai Salmi e per lo più dall’Antico Testamento). Molti passaggi, a partire dal commovente esordio («Beati coloro che sono afflitti»), riecheggiano certo Bach delle Passioni. In assoluto la parte più emozionante il vasto coro «Denn alles Fleisch» con il suo ritmo insistente enfatizzato dal pulsare misterioso del timpano, ma anche quelle estenuate dolcezze che del Deutsches Requiem sono la caratteristica più peculiare: quella serenità di fondo, ci sia permesso, dalla quale prenderà poi le mosse Gabriel Fauré per il ‘suo’ rarefatto Requiem. E allora che emozioni, in chiusura quando le luci si fanno soffuse e tutto si spegne in una soave struggente dolcezza. Bene l’Orchestra del Regio (ha strabiliato nell’iniziale Ouverture), ottimamente diretta da Pinchas Steinberg che lascia ora Torino dopo aver diretto in apertura di stagione il Trovatore. Benino il coro del Regio (istruito da Andrea Secchi), nonostante qualche asprezza negli acuti e forse una certa debolezza nella parte dei bassi (non tutti gli attacchi poi erano perfetti, ma sono piccole cose dinanzi alla bellezza del capolavoro: schiacciante il confronto con la performance del coro parmigiano la sera precedente). Buona la prova del baritono Tommi Hakala, deludente invece, purtroppo, quella del soprano Karina Flores.