di Luca Chierici
La parte iniziale di un ciclo bruckneriano è quella portata avanti in questi anni da Fabio Luisi e dalla Filarmonica della Scala: alla Seconda e Settima sinfonia, presentate nel 2019-2020, il direttore ha aggiunto oggi l’Ottava, eseguita nella prima versione del 1887.
Nel frattempo Luisi ha diretto anche la Quarta sinfonia in altre occasioni, esempio che probabilmente si ripeterà al Piermarini nell’ottica appunto della realizzazione di un ciclo completo. Sono scelte, queste, sufficienti a ribadire il livello musicale di un direttore che ha ottenuto anche da molte orchestre di rilevanza mondiale un consenso che sembra essere inversamente proporzionale alla mancanza evidente di un certo tipo di divismo e di autocelebrazione da parte di un personaggio molto schivo. E vi è in questo senso un sottile filo che unisce la personalità di Luisi a quella di altri direttori (pensiamo ad esempio a un Blomstedt) che non hanno fatto, a torto o a ragione, dell’estrinsecazione dei lati più visibili della propria figura un elemento imprescindibile di giudizio.
Bruckner fu alla Scala un compositore protagonista di un revival tardivo che data agli anni ’70 e che ci permise di rimanere folgorati, ad esempio, da una lettura dell’ottava sinfonia da parte di Karl Böhm che ci impressionò a causa di un gesto che contrastava, allora, con l’enorme massa sonora che sprigionava dalla partitura secondo un processo di amplificazione continua delle idee musicali principali. Il ricordo dell’inizio dello Scherzo indicato da Böhm all’orchestra con il solo quasi impercettibile movimento dell’indice della mano sinistra è rimasto nel mio caso indelebile testimonianza di come l’arte direttoriale si possa esprimere con una incredibile economia di mezzi. Sono passati da allora quasi cinquant’anni e le sinfonie di Bruckner hanno raggiunto un livello di popolarità allora impensabile. E questo livello lo si è raggiunto tramite una frequentazione non trascurabile nel tempo da parte della Filarmonica, e quindi con la padronanza tecnica di uno strumentale all’inizio difficile da gestire con facilità. Anche in questo caso il gesto di Luisi è stato sempre molto parco, purtuttavia sorretto da una evidente partecipazione che era segno di una lettura intensa e meditata di una partitura allo stesso tempo complessa e così coinvolgente.
Certi momenti topici come l’intero svolgersi dello straordinario Scherzo o il finale del terzo movimento hanno ricevuto da Luisi un impulso di straordinaria efficacia e riascoltando la registrazione effettuata dalla Rai si coglie quello che sembra essere, come già accennato, uno dei lati problematici dell’arte del direttore, ossia la dicotomia tra il raggiungimento finale – perfettamente udibile attraverso l’ascolto – e l’aspetto più esteriore di una comunicazione della propria arte che è spesso poco visibile se si fa riferimento alle caratteristiche del gesto. Un gesto tecnicamente chiaro ma non certo ricco di componenti che aiutino lo spettatore a immedesimarsi con il pensiero, con le passioni più intime del direttore. Il successo, il carisma di un interprete lo si misura anche dal coinvolgimento emotivo che deriva dal suo agire sul palcoscenico, e se talvolta questo “agire” comporta, negativamente, particolari sgraziati, gesti inutili, addirittura smorfie del viso, così l’assenza marcata di altri aspetti solo apparentemente esteriori rischia di offuscare la portata del coinvolgimento dell’artista così come percepito dal pubblico. Non si poteva certo accusare di esteriorità il comportamento sul palcoscenico di un direttore come Giulini, che al contrario sembrava comunicare tutto il dramma interiore dell’interprete che si trova di fronte alla partitura e a tutti gli interrogativi che da quella derivano. A Luisi manca però un segno di sacralità, di trasmissione visibile di un lavoro di approfondimento che certamente è alla base dei propri raggiungimenti. Sarà questo probabilmente un aspetto che sarà chiarito nel prossimo futuro, attraverso la consapevolezza totale del proprio valore. In tal senso ci attendiamo appuntamenti ancor più straordinari di quelli già sperimentati di recente e attraverso l’ultima esperienza, davvero rimarchevole, dell’altra sera.