di Luca Chierici
Molti erano i motivi per i quali era opportuno assistere a questa nuova produzione di Lucia di Lammermoor alla Scala, programmata durante gli anni di Covid e purtroppo non realizzata.
Una Lucia integrale secondo l’edizione di Dotto e Parker per Ricordi, fermamente voluta da Riccardo Chailly – insignito ieri del Premio Lucca Classica 2022 –, con la presenza di protagonisti di spicco e purtroppo accompagnata da una regìa e da scene e costumi non certo memorabili, che avevano solamente la loro ragion d’essere nel sottolineare il clima plumbeo, tragico del capolavoro donizettiano.
La lettura di Chailly ha rivelato una delle Lucie possibili – nessuno può pretendere di dire l’ultima parola, anche guardando alle numerosissime occasioni scaligere in cui l’opera è andata in scena – ma la cura e la visione dell’impianto generale – mirabile tra le altre cose il concertato finale del secondo atto – e soprattutto i preziosi interventi orchestrali negli accompagnamenti dei momenti più celebri affidati ai protagonisti – non ultimo l’iridescente suono della glasharmonika – non si dimenticheranno facilmente e renderanno questa produzione memorabile almeno per ciò che riguarda questo contesto. Allo stesso modo Lisette Oropesa ha dato tutta se stessa nella realizzazione di una protagonista che vive l’evolversi degli accadimenti con una determinazione e una coscienza del proprio ruolo non certo facili da dominare, con una riuscita forse migliore nella prima parte del lavoro e una minore trascendenza di effetti nel dispiegare tutti i tratti di una follia che ha visto nel passato tanti esempi inimitabili e non solo alla Scala.
Non era tanto una questione di comportamento vocale – i virtuosismi da manuale erano presenti anche senza ricorrere alla cadenza-Melba giustamente espunta – quanto di immedesimazione totale in un ruolo proverbialmente destinato a pochissime interpreti. Nel caso di Juan Diego Florez, invece, il problema non era tanto insito nella caratterizzazione del personaggio – Edgardo, tutto sommato, non richiede grandi doti di insight da parte del tenore – ma è tuttora difficile separare la vocalità e soprattutto il timbro del celebre cantante peruviano da quello attinente alla serie di ruoli da lui più felicemente dominati nel corso del tempo. Accadeva così che al posto di Edgardo si vedeva e si ascoltava Lindoro o Almaviva, tanto forte era l’identificazione dell’aspetto e delle caratteristiche di voce e fraseggio di uno dei più apprezzati beniamini del pubblico. Nella recita da noi seguita, Carlo Lepore sostituiva egregiamente Pertusi nel ruolo di Raimondo. Boris Pinkhasovich era un Ashton musicalmente apprezzabile anche se monotono, ma piuttosto estraneo alla comprensione del ruolo. Di valore l’Arturo di Leonardo Cortellazzi e il Normanno di Giorgio Misseri. Giustamente preoccupata e premurosa nei confronti dell’infelice padrona era Valentina Pluzhnikova quale Alisa. Malazzi ha istruito egregiamente un Coro particolarmente impegnato nei molteplici ruoli ad esso assegnati in partitura. Il successo di pubblico è stato palese, con numerosi applausi al termine di arie e concertati e ovazioni finali soprattutto per la Oropesa e per Chailly.