L’interprete russo a Torino con l’ONSRai diretta da Juraj Valčuha
di Attilio Piovano
ESPRESSAMENTE DEDICATO ANCH’ESSO alla memoria di Claudio Abbado, il dodicesimo concerto di stagione per l’OSNRai, a Torino, giovedì 23 e venerdì 24 gennaio (riferiamo in merito alla seconda serata). Cambiato il direttore, rispetto a quanto previsto nel cartellone generale (doveva esserci Jukka Pekka-Saraste, sostituito dall’affidabile Juraj Valčuha che ormai ha un rapporto di lunga frequentazione con l’OSNRai in quanto stabile) e conseguentemente in parte modificato il programma. È rimasto in piedi tuttavia il piatto forte della serata, vale a dire il celeberrimo e virtuosistico Concerto n° 1 in si bemolle minore op. 23 di Čajkovskij dal memorabile attacco con l’altisonante risuonare dei timpani e l’indimenticabile gesto sonoro. Solista il fuoriclasse Arcadi Volodos che ha subito dato fuoco alle micce sfoderando proverbiali, granitiche sonorità, fronteggiando da par suo il volume sonoro dell’orchestra e facendo ruggire il gran coda. Volodos domina a meraviglia l’impervia partitura cogliendone perfettamente l’esprit. Superba la sicurezza con la quale affronta i passi di bravura a doppie ottave col coreografico mulinare delle mani: dai quali emergono stranite le tipiche melliflue melodie čajkovskijane. Grande poesia di timbri (oltre a un range dinamico a dir poco eccezionale) nella vasta cadenza del primo tempo ed una indicibile varietà di colori. Ma Volodos, pur dall’immane potenza energetica e dalle dita d’acciaio, sa abbandonarsi anche a cantabili di inaudita dolcezza e soavità nel secondo tempo dalla sezione centrale venata di bizzarro humour. Vero funambolo della tastiera, Volodos, ben assecondato dall’orchestra guidata con mano salda da Valčuha, ha dato una lettura euforizzante del Finale. Rarefatti e diafani i due bis pur diversissimi, Jeunes filles au jardines del catalano Federico Mompou, pagina onirica striata di struggente dolcezza e la toccante trascrizione della Sicilienne di Bach-Vivaldi (dal Concerto in re minore BWV 596) impregnata di malinconia lagunare eseguita con tocco lunare e una morbidezza inaudita. Un vero trionfo e vaste ovazioni.
Di tutt’altro segno la prima parte della serata che si è aperta col clima cupo e offuscato subito ibridato di barbagli del Nocturne Symphonique op. 43 di Busoni del 1912. Gran bella prova dell’orchestra dalla quale Valčuha ha saputo trarre il tema cantabile che emerge dalle brume, sia pure di una cantabilità raggelata come presaga di tragedia. A sovrastare il tutto una cappa plumbea, con minacciosi rintocchi di timpani e un’allure espressionista, un che di greve, atmosfere allucinate e pur fascinose, un quid di sfuggente ed enigmatico che del brano dalle fasce politonali – pur sofferente di una eccessiva dilatazione – costituisce il motivo di maggior fascino. Non certo casuale la scelta di farvi seguire i bartókiani Quattro pezzi per orchestra op. 12: in apertura il Preludio dai lucori lunari e dalle variegate seduzioni timbriche (ma senza l’appeal della Musica per percussione e celesta), preludio che poi subito si anima, anch’esso (come il pezzo busoniano) dilagando forse un po’ troppo. Poi lo Scherzo, vero tour de force per l’orchestra. E qui Valčuha ha avuto modo di sfoggiare il virtuosismo di ottoni e percussioni. Assai ammirata l’esattezza ritmica e l’accuratezza della concertazione, a rendere i ritmi taglienti e le superfici acuminate della pagina dalle atmosfere ruvide e rumorose come nel Mandarino meraviglioso. Evolve poi in un curioso Intermezzo, sorta di valzer acidulo e sghembo non privo di una sua attrattiva. Infine il clima livido della conclusiva Marcia Funebre. Pubblico solo moderatamente coinvolto, e pur ammirato per la bravura di Valčuha e per l’alta qualità delle prime parti dell’OSNRai.
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