di Attilio Piovano

È considerato uno dei massimi pianisti viventi, «ammirato per la sua introspezione visionaria, la sua ipnotica spontaneità – così di lui è stato scritto – la sua devozione senza compromessi alla musica». Nelle faccende dell’arte si sa è sempre difficile – e anche un filino pericoloso – stilare improbabili classifiche, sta di fatto che Grigory Sokolov è un artista di primissima grandezza, una stella purissima nel firmamento del gotha pianistico internazionale. Ha aperto (a serie riunite) la stagione dell’Unione Musicale, a Torino, la sera di mercoledì 21 ottobre 2015, presso l’Auditorium del Lingotto. Un programma in linea con le sue ben note opzioni interpretative. E allora in apertura ecco la schubertiana Sonata in la minore op. 143 D 784, aspra e scarna come poche altre, dall’atmosfera cupa, livida e per lo più desolata, tutta protesa sugli abissi dell’ignoto. Sokolov ne ha distillato il primo tempo con una rara sapienza, con un tocco magistrale e con una cura maniacale dei dettagli che hanno tenuto il pubblico col fiato sospeso. Anche dove la toccante Sonata si apre a radure melodiche appena un poco più cordiali, Sokolov non ne dimentica il carattere specialissimo e la Stimmung imbevuta di profondo pathos. Così il Finale (Allegro Vivace) che corona questo capolavoro con mirabile coerenza stilistica.

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Schivo e alieno da atteggiamenti divistici (a partire dalla scelta di suonare nella semioscurità e parrebbe un vezzo snobistico, mentre invece è un dettaglio importante, atto a propiziare la concentrazione, sua e del pubblico) Sokolov disdegna gli applausi sedendosi con impazienza al pianoforte e subito interpreta i Sei Momenti Musicali op. 94 D 780. Che sono capolavori assoluti: il distillato dell’ultimo Schubert, profetico e ‘visionario’ a sua volta. E chiudendo gli occhi parevano l’ideale prosecuzione della Sonata op. 143. Elogiare il tocco di Sokolov pare quasi un’ovvietà, così pure la sua capacità di mettere a fuoco il carattere umbratile e rarefatto di tali pagine, anche nel caso delle più estroverse come il celeberrimo Momento Musicale n. 3 in fa minore del quale Sokolov evita per lo più il tono in apparenza salottiero, finendo per apparentarlo a capolavori quali la Wanderer. Così pure nel caso del quinto col caratteristico ritmo di dattilo che in Schubert è sempre il segnacolo della morte. A dir poco sublime.

Lungo intervallo, poi nuovamente la sala semibuia e si volta pagina con Chopin. Ma in realtà si prosegue nello scavo psicologico e allora due Notturni scelti non certo a caso (e si è trattato dell’op. 32 n. 1 e n. 2), mai apparsi tali in tutta la loro espressiva grandezza. Infine la sublime Sonata in si bemolle minore op. 35. Quanta delizia nei passi lirici, come belliniane cavatine rese magnificamente con un legato da brivido, ma anche quanta intensità nelle rabbiose raffiche dei passi più energetici, le asprezze e l’inquietudine del sublime Scherzo. Il culmine nella celeberrima Marcia funebre affrontata con una lentezza indicibile: indimenticabile, centellinata nota dopo nota e che tenerezza, quasi da innescare le lacrime, la dolce, nostalgica Sehnsucht del trio, consolatorio, dopo il quale la riapparizione del tema della Marcia si conferma ancora più livido e ferale. Infine il movimento conclusivo, di una modernità sconvolgente, conciso e lancinante, nella sua aforistica brevità. Sokolov pare volare sulla tastiera e ne restituisce la fantasmatica e fantomatica opacità come pochi altri sul pianeta sanno fare. A dir poco un miracolo.

Ovazioni conclusive a non finire, e questo fa onore all’intelligente pubblico torinese dell’UM che mostra di saper comprendere e apprezzare i musicisti di razza e non solamente i musicisti-atleti che oggi vanno tanto di moda presso le grandi masse. Ovazioni alle quali Sokolov ha risposto generosamente con ben cinque bis, invariabilmente chopiniani, e tutti eseguiti con quella stessa concentrazione e introspezione che ha contraddistinto l’intera serata. A partire dalla Mazurka op. 68 n. 2 giù giù sino al Preludio in re bemolle maggiore op. 28 n. 15, mai ascoltato con tale distillata intensità timbrica e di tocco. E ha suonato altresì le Mazurke op. 30 n. 1 e n. 4 e op. 63 n. 3. Non basta. Sesto bis, per gli incontentabili, e allora un raro e non meglio identificato Valzer del settecentesco Aleksandr Griboedov, simpatico hommage da parte di Sokolov a un suo antico conterraneo. Chapeau.  Un vero trionfo: del gusto e dell’intelligenza interpretativa.

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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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