La scomparsa del leggendario pianista. In lui convergono la tradizione pianistica napoletana e il gusto francese. Avrebbe compiuto novant’anni in agosto
di Luca Chierici
AVREBBE DOVUTO SUONARE pochi giorni fa alla Scala in un concerto organizzato dalla Fondazione Rava, ma chi conosceva le sue condizioni di salute difficilmente avrebbe sperato in un suo ritorno nella città e nel teatro che tante volte lo avevano visto protagonista di serate indimenticabili. Aldo Ciccolini ci ha lasciato alle soglie dei novant’anni, un lungo percorso di vita e soprattutto un percorso artistico ricco di continue scoperte, un viaggio attraverso un repertorio sterminato che egli comunicava con grande senso del dovere al pubblico con il quale aveva instaurato da sempre un rapporto di cordialità, senza quel freddo distacco che contraddistingueva l’atteggiamento di molti colleghi, anche tra i più giovani.
Ciccolini aveva costruito la propria carriera e si era conquistato una posizione di primo piano tra gli artisti più seri e preparati attraverso un lavoro continuo
Da tempo Ciccolini aveva ridotto la propria attività a qualche comparsa sempre più attesa dagli ascoltatori affezionati e da coloro che lo avevano scoperto solamente quando era entrato in una fascia di età alla quale si diventa per forza di cose “venerabili”. Trasferitosi in Francia sin dalla fine degli anni Quaranta, di quella civiltà pianistica aveva assorbito tutte le caratteristiche, approfondendo sistematicamente un repertorio vastissimo che faceva capo ai nomi di Debussy, Ravel, Saint-Saëns, Satie e a musicisti allora meno noti come Séverac, Castillon, Alkan.
Protagonista di una carriera concertistica e discografica di primo piano, durante la quale collaborò con celebri direttori, si dedicò ben presto anche all’insegnamento con la vocazione di chi si sente naturalmente portato a un dialogo con le generazioni più giovani. L’Italia era ovviamente un paese dove ritornava assai spesso e le sue critiche spesso sferzanti sulla gestione nostrana della cultura e della musica erano bilanciate dall’affetto che egli aveva soprattutto per i luoghi della sua gioventù, legati alle impressioni più vive e incancellabili. Pianista dotato di un approccio alla tastiera davvero naturale e di una memoria pressoché infallibile, Ciccolini aveva però costruito la propria carriera e si era conquistato una posizione di primo piano tra gli artisti più seri e preparati attraverso un lavoro continuo, indefesso, che coniugato a una altrettanto naturale curiosità lo aveva appunto spinto ad approfondire numerosissimi aspetti della letteratura.
In Italia Ciccolini era fino agli anni Ottanta noto soprattutto per le sue interpretazioni del repertorio francese, e in tal senso veniva chiamato a presentare programmi dedicati all’integrale delle musiche di Debussy e Ravel – come fece ad esempio a Napoli e a Milano – ma si può dire che nessun aspetto del repertorio classico, romantico e del primo Novecento gli fosse estraneo e a lui dobbiamo le emozioni di ascolto in concerto di tante pagine di Liszt, Rossini, Fauré, e tanto Chopin, Beethoven e Mozart. Un pianista dalle mille qualità come per altri versi era stato Nikita Magaloff, che con lui divideva la curiosità di sempre nuove scoperte magari a scapito di eccessive specializzazioni che erano divenute tanto di moda a partire dagli anni Sessanta e Settanta del Novecento.
In privato Ciccolini era persona amabilissima, sempre disposto a essere stimolato da continue domande, a ricordare gli eventi che avevano segnato le prime impressioni di giovane ascoltatore (che emozione sentirlo parlare di un concerto napoletano di Rachmaninov: «terminò l’esecuzione della Sonata in si bemolle minore di Chopin in maniera così perentoria che il pubblico tardò a riprendersi dallo shock e iniziò ad applaudire quando lui si era già alzato ed era quasi uscito di scena …») con una modestia che lasciava il posto a critiche anche sferzanti nei confronti di allievi non sufficientemente coinvolti nello studio.
L’ultima parte della carriera era stata da lui condotta all’insegna di un sempre maggiore impegno nella ricerca del significato storico delle grandi e meno grandi pagine del repertorio, portandolo a concepire programmi sempre più raffinati attraverso accostamenti che rivelavano una profonda conoscenza del linguaggio musicale tipico di particolari fasi storiche. Il programma da lui presentato in un memorabile recital tenuto nel luglio del 2008 a Montpellier rappresentò in tal senso un unicum per ciò che riguardava non solo la qualità dell’esecuzione ma soprattutto l’individuazione del sottile filo che legava le composizione in gioco, dalla Sonata in sol minore dell’opera 34 di Clementi alla beethoveniana “Waldstein” alla pochissimo conosciuta prima sonata di Czerny, della quale aveva svelato profondità impensabili.
E il tutto avveniva attraverso un approccio alla tastiera che aveva del miracoloso. Negli ultimi dieci anni Ciccolini si scherniva dicendo che non gli sembrava più di essere se stesso quando si presentava in pubblico a suonare pagine sempre più impegnative: «Mi sembra che sia un altro a suonare al mio posto» diceva e non abbiamo dubbi sul fatto che egli avesse sempre più separato il proprio coinvolgimento artistico dal percorso quotidiano della vita, un percorso che probabilmente non gli aveva risparmiato tante delusioni affettive e tante difficoltà nei rapporti umani.
Uno dei pianisti più unico che raro, con una grande passione per la musica e una forte umiltà d’animo. Un articolo molto interessante per rendere omaggio a questa fantastica persona. Complimenti.
Ineccepibile.
Un celebre musicista e personalità della cultura da emulare e onorare.
Un grande esempio.