Ai confini della terra fertile, ciclo di conferenze dedicato a Pierre Boulez. Palazzo Marescotti (via Barberia 4), Bologna Festival tel.051 6493397, oggi alle ore 17
Il pensiero musicale e la prassi compositiva di Pierre Boulez sono il tema della conferenza che terrà oggi il musicologo Robert Piencikowski, inserita nel progetto Debussy-Boulez del Bologna Festival. Noi abbiamo ascoltato a Milano Pierre Boulez alla guida dell’ Ensemble Intercontemporain con il soprano Barbara Hanningan
Il titolo, Pli selon Pli, è estratto da una poesia di Mallarmé e non è utilizzato nella trasposizione musicale: esso indica il senso, la direzione dell’opera. In questa poesia, l’autore descrive con queste parole il modo in cui la nebbia, dissolvendosi, lascia scorgere progressivamente le pietre della città di Bruges. In egual modo, nel corso dello svolgimento dei cinque pezzi, si svela un ritratto di Mallarmé. Pierre Boulez
Dirige senza bacchetta, e questo si sa. Non per vezzo egocentrico, solo perché «più si va verso la musica contemporanea, meno si ha bisogno di questo prolungamento. È una questione di tecnica: la precisione del gesto sta nella corrispondenza del braccio, della mano con ciò che si vuol fare, e con ciò che si può ottenere. Per questo, per il fraseggio in particolare, sono necessarie le due mani». E così il grande direttore e compositore francese Pierre Boulez ha letteralmente incantato il pubblico milanese alla chiusura del Festival MiTo. Parla del gesto direttoriale, ma sembra di trovare nelle sue parola una corrispondenza con il gesto sonoro. La parola d’ordine è sì precisione e tecnica, ma questa apparente razionalità è il presupposto che permette all’opera di superare se stessa.

Il programma era tutto dedicato a Pli selon Pli, composizione di Boulez per soprano e orchestra iniziata nel 1957 e lavorata fino 1962, ritoccata negli anni Ottanta. Sono cinque parti di cui si compone: Don, tre Improvisations, Tombeau, su testi di Mallarmé. Boulez sta vicino ai rivoluzionari della metrica e Mallarmé offre terreno fertile. «Egli ripensa completamente la sintassi francese – scrive Boulez – , per farne uno strumento ‘originale’ nel senso letterale del termine». Per chi non conoscesse questo monumentale brano è necessario un cenno sull’organico: il dispiegamento di “forze” è impressionante e comprende oltre alla sezione archi e fiati, il pianoforte, il mandolino, la chitarra, una sezione percussioni che riempiva da parte a parte il palcoscenico del conservatorio di Milano, tastiera, e cinque arpe disposte centralmente come a formare le vele di un albero maestro. È un brivido l’inizio della composizione, o forse un tuono in mare aperto, con quell’iniziale evento sonoro in fortissimo che ha subito cattturato l’attenzione del numeroso pubblico presente (c’era anche Maurizio Pollini in platea).
Boulez dirige Boulez. C’è l’Ensemble Intercontemporain, magnifici (infatti si definiscono un ensemble di solisti) e in totale simbiosi con il direttore/compositore e il soprano Barbara Hanningan è stata capace di far ascoltare anche nei registri sovracuti un suono pieno e nitido, denso di espressività.