[wide]

[/wide]
[box bg=”#ededed” color=”#000000″]RECENSIONE[/box]
Il pianista alla Scala per la chiusura del Festival di Milano Musica dedicato a Lachenmann
di Simeone Pozzini
Concordano, i testimoni: Chopin suonava leggero. E quando veloce, con con lo spirito di un carillon (Spieluhr). Durante il suo ultimo concerto a Parigi nel 1848, una damigella gli chiese quale fosse “il segreto per fare scorrere così le scale sul pianoforte”, intendendo anche così veloce. La testimonianza, sull’episodio, si ferma qui. Nella media dei virtuosi dell’Ottocento Chopin, è risaputo, fece pochissimi concerti e il suo suono (ma non sono le uniche ragioni) fu calibrato sui salotti del milieu parigino. In questa direzione sonora sembra plasmarsi Jeffrey Swann, alla Scala per la chiusura dei concerti del Festival dell’associazione Milano Musica. Nel giro milanese, invece, nonostante siano passati parecchi anni, molti hanno viva nelle orecchie l’impeccabile sua statura del 1975, quando alla Scala vinse il premio Ciani, performance testimoniata in una raro vinile Rca, e forse la preferivano in fatto di controllo della forma nelle pagine chopiniane.
Opinioni differenti: Ravel vedeva nella Barcarola un «lirismo magnifico, tutto italiano», mentre il musicologo inglese Arthur Hedley sosteneva che solo «Superficialmente può apparire come un’autentica glorificazione dell’italianismo»
Il programma era davvero ben articolato, moderno, cioè come si usa dire, misto: intorno alle Françoise Variationen (1983/96) di Franco Donatoni, nucleo centrale del concerto e pagina magnifica del Novecento pianistico, hanno gravitato alcune opere dell’ultimo periodo compositivo di Liszt e Chopin. Il trittico lisztiano compilato per il concerto comprendeva la Bagatelle sans tonalité (1885), Aux cyprès de la Ville d’Este: Trénodie e Les jeux d’eau à la Ville d’Este (1876/77): suonate senza interruzioni come se fossero un unicum, pochissimo pedale di risonanza, un cantabile mai dichiaratamente vocale all’italiana, tutto detaché. Notevole la continuità e limpidezza che Swann riesce a raggiungere nel tremolo e nelle volatine.

Inedito ed interessante l’approccio di Swann alla pagina di Donatoni, perché realizzato con la lettura del pianista di tradizione, che mutua archetipi interpretativi del grande repertorio per rendere lirico tutto il possible. In Chopin, invece, il suo registro migliore è a nostro avviso la “mezza voce”, quella indicata in partitura nella (sudata) Polacca-Fantasia op.61, eseguita insieme alla Ballata op.52 e alla Barcarola op. 60, tre capolavori dell’ultima produzione. È il colore poeticamente indefinito e sognante il migliore, quasi sussurato segreto, che l’interprete sa porgere con eleganza d’antan e un timbro decisamente personale, tanto che conquistò Abbado e Pollini. Rara l’urgenza espressiva delle linee di tenore messe in rilievo in queste pagine.
© Riproduzione riservata